[In diretta da sotto la Manica: che emozione!]
Poco fa ero nella
lounge d'attesa dell'Eurostar, aspettando che iniziassero le
operazioni di imbarco. L'ultima volta che sono andata in Inghilterra
è stato a Maggio, quindi sono stata un po' “colta di sorpresa”
quando tutto ad un tratto mi sono ritrovata immersa in una delle
lingue più belle del mondo (IMHO, of course): il British. Così
musicale, così posh, così comprensibile!
Proprio poco tempo
fa, parlando di accenti, ricordavo come alla fine del mio periodo
londinese non solo il mio inglese era al suo punto di massimo
splendore, ma da una pronuncia corretta ma senza accento aveva virato
con forza verso il British, inconsapevolmente. Che gioia, una volta che me ne sono accorta!
Il tutto perso in poco tempo,
ovviamente. E con quello anche molto vocabolario, che in caso di
necessità e con sforzo inaudito può essere recuperato, ma mancando
completamente di quella fluidità inconsapevole (e due) tipica di una
buona conoscenza della lingua.
È inevitabile,
quando non ci si esercita con una certa costanza: non solo, è
anche importante avere la possibilità di parlare con qualcuno che parli la lingua fluentemente, magari madrelingua. Perché se è vero che
parlo inglese ogni giorno da quando mi sono trasferita in Belgio, è
anche vero che nella vita di tutti i giorni la lingua è un mezzo,
non è uno scopo. E se è un mezzo, sarebbe inutile ricercare nella
propria mente e nei propri muscoli facciali la memoria di
quell'accento, se poi questo non viene compreso, richiedendo una
ripetizione della frase con una pronuncia più mainstream. E se è un
mezzo, sarebbe inutile utilizzare verbi meno comuni ma più corretti,
se poi bisogna spiegarsi di nuovo, magari usando un polivalente
“to do”.
Queste riflessioni
sulla lontananza dall'inglese che fu mi portano a pensare al francese
che sarà: è ancora presto, ovviamente, davvero troppo presto per
saperlo, ma ho come la sensazione che non mi si adatterà come un
guanto tanto quanto fece l'inglese.
Soprattutto, non
riesco ad immaginare la versione di me francofona.
Sono assolutamente
convinta che l'immagine di noi che il mondo percepisce cambi
leggermente a seconda della lingua che parliamo, posto che questa sia
parlata correttamente e senza accetto nazionale. Così come ad
esempio la postura, l'abbigliamento e il trucco, la lingua è uno
“strato” di cui ci ricopriamo e che determina sfumature che
saranno uno dei tanti dettagli che costituiscono il quadro generale. Sto imparando il
francese, e l'obiettivo è impararlo per bene: perché mi serve per
vivere, perché sarebbe stupido non farlo avendo la possibilità di
viverci immersa, perché è una sfida. Lo sto imparando, ma non sono
sicura mi starà bene. Come quando si compra un paio di scarpe online.
Ad un certo
punto ho pensato stupidamente che non voglio perdere la versione
anglofona, che è un po' come pensare che non voglio perdere i jeans
dal momento che oggi indosso degli altri pantaloni: i jeans non
andranno da nessuna parte ma aspetteranno pazientemente nell'armadio,
al massimo saranno nella sacca dei vestiti da lavare. Ci saranno
periodi in cui li indosserò di più, altri in cui mi li vorrò meno,
ma loro, da soli, non si sposteranno di un centimetro da dove li ho
lasciati.*
Quindi oggi ho capito che imparare nuove lingue è come fare shopping: chissà che questa nuova visione non funzioni da incentivo...
* Ironicamente, i
jeans sono sempre jeans, che sia italiano, inglese o francese.
E anche lo shopping.
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