Ho deciso di disattivare (per quaranta giorni, per ora) i miei account social.
Bam!, così!, diretta e senza fronzoli.
Però adesso argomento un attimo. Forse per più di un attimo.
Su una delle schermate del telefono ho la cartella "Social".
Bam!, così!, diretta e senza fronzoli.
Però adesso argomento un attimo. Forse per più di un attimo.
Su una delle schermate del telefono ho la cartella "Social".
Anche sulla barra dei preferiti di Google Chrome ho una cartella "Social".
Laddove c'è una cartella, c'è una raccolta, di plurime cose. Plurale. Facebook, Twitter, Instagram, Youtube, Goodreads (il quale è tecnicamente un social, ma non lo considero tale). Pinterest no, ho solo il pulsantino sul browser per salvare foto, articoli, ispirazioni che trovo in giro su internet.
Mi sono iscritta a Facebook quando ha cominciato ad essere interessante anche in Italia: 2008, o giù di lì. L'uso inappropriato che ne facevo mi è ricordato costantemente dalla funzione "Ricordi", con buona pace della creanza (allora) e della dignità (ora come allora). Chissà perché sembrava plausibile che potessero interessare al mondo le stron minuzie di cui scrivevo.
"Ma stai scrivendo su un blog! Non è forse la stessa cosa?"
Mi illudo che la maggior completezza, la più alta qualità e il più elevato sviluppo dei concetti abbiano un effetto diverso da "pensa che oggi non le va proprio di studiare. Uff!". Lo spero, se non altro. Così non fosse, fatemelo sapere perché è importante saper rivalutare la propria visione del mondo.
Ma dicevamo.
Credo che chiunque abbia vissuto diverse fasi nella gestione dei propri social network. So sicuramente di averla avuto io. All'inizio, ogni avvenimento diverso dal "sto respirando" andava opportunamente documentato, meglio se con supporto fotografico annesso: c'era tutto il rituale, fatto di tag degli amici e infiniti commenti (generalmente tra sole due o tre persone). Sono sicura che fosse motivato da un reale piacere di condividere delle esperienze con chi le aveva vissute insieme a me, di lasciare una traccia. Anche perché diciamocelo, non è che avessimo proprio una quantità spropositata di contatti, all'inizio.
Poi, organicamente, la cosa è andata un po' scemando ("Ma era scema pure prima!" ok, scusate, faccio spesso di queste battute a mio unico beneficio). È subentrata invece la fase in cui cercavo di condividere comunque un fatto, sempre poco rilevante per la sorte del mondo, ma quantomeno facendo uno sforzo narrativo e (spero di nuovo) almeno simpatico, se non addirittura comico. E mica dico di aver inventato l'acqua calda, è la tendenza che si apprezzava in più o meno tutti i post che mi capitava di leggere in bacheca. Un po' di maturità in più e la necessità di avere una buona "base" per raccontare un aneddoto in una certa maniera hanno fatto sì che scrivessi di meno.
E poi sempre di meno. Il mio consumo attivo di Facebook è esponenziale più alto di quello di tanta gente che conosco, ma si è ridotto comunque drasticamente nell'ultimo periodo.
Il consumo passivo invece è sempre molto intenso, di qualunque social si tratti.
Da un po' di tempo però, vivo i social network con un po' di malessere che cova da qualche parte nel profondo; due giorni fa ho visto questo video e ho capito che ho decisamente bisogno di un detox (tanto per usare una parola che va di moda):
Mi sono fatta fare il lavaggio del cervello da questo tizio? No, ma ha toccato delle corde che erano pronte a vibrare, aspettavano solo la stimolazione giusta.
Ho deciso di scriverne per tre motivi principali: condividere un po' di quello che mi passa per la testa (che è poi lo scopo primario di questo blog); per ricordarmi delle mie motivazioni qualora mi sentissi di cedere tra qualche giorno; perché chissà, magari può essere uno spunto di riflessione per qualcun altro. Mi accingo quindi a sviscerare la questione principale: perché?
Il primo e più basico motivo per il quale mi interessa fare questo esperimento è che i social, volenti o nolenti, sono una distrazione e una perdita di tempo. E credo che stiano seriamente compromettendo la mia abilità di concentrarmi a lungo su una sola attività, sia essa di lavoro o di piacere: questa prospettiva mi inquieta molto, soprattutto perché ne vedo praticamente gli effetti, e non sono a mio agio. Oltretutto, Facebook & Co. sono il motivo principale per cui spesso e volentieri alle undici sono a letto con la prospettiva di otto ore abbondanti di sonno e poi mi ritrovo quasi all'una di notte con gli occhi stanchi a maledirmi (per non parlare della mattina dopo).
La seconda ragione è che non mi piace come la maggior parte dei miei contatti li usa, questi sociali: mi innervosisce per contenuti, per modalità, per filosofia. Se un aggeggio che dovrebbe, tra le altre cose, farmi passare del tempo spensierato è in realtà fonte di nervosismo, sta mancando il suo scopo. Potrei, certamente, silenziare molti di questi contatti, ma poi mi ritroverei con feed vuoti: oltretutto, l'obiettivo primario dei social dovrebbe essere di mantenere i rapporti con la gente, quindi mi sembrerebbe un po' un controsenso.
Il terzo motivo principale è che non mi piace come io stessa ho cominciato a percepire questi social. Mi sono ritrovata a pensare, a volte "Mh, questo post è ben scritto eppure ha avuto pochi like, magari la prossima volta invece di pubblicarlo appena mi viene in mente aspetto l'ora di pranzo, ché c'è più engagement". Oh, ma davvero? Sinceramente, mi preoccupa molto essere arrivata a pensare in questo modo (solo a volte, devo dire). Ma da quando mi importa dei like? Ma seriamente? No no no, urge riassestare la forma mentis, davvero.
Il quarto è che ho cominciato ad interessarmi troppo della vita di perfetti sconosciuti: blogger, influencer, imprenditori. C'è da dire che credo di seguire comunque gente interessante e che offre sempre spunti di riflessioni, seppur variegati: molti parlano di libri (da cui la mia lista infinita di libri da leggere), di mostre ed eventi che incontrano il mio gusto, altri di creme e trucchi da un punto di vista scientifico e razionale, in generale quasi tutti sanno dare un twist inaspettato e accattivante anche quando parlano di sciocchezze. Per quanto possano essere interessanti, però, non valgono il mio tempo. Sicuramente, non valgono il tempo e le energie mentali che gli sto dedicando in questo momento. Non valgono il "oggi non ho fatto in tempo a guardare le stories di Tizia [le stories su Instagram restano disponibili solo per 24 ore, nda], chissà com'è andare a finire quella cosa". Ritengo sia già molto triste essere arrivata a questo punto, ecco.
L'ultimo punto merita qualche parola in più: la FoMO, o Fear of Missing Out. Agevolo la definizione che ne dà Wikipedia:
La FoMO (acronimo per l'espressione inglese Fear of missing out, letteralmente "paura di essere tagliati fuori") è una forma di ansia sociale, caratterizzata da un desiderio di rimanere continuamente in contatto con ciò che fanno gli altri e la paura di essere esclusi da un evento o contesto sociale. La FoMO può portare a una preoccupazione compulsiva che si possa perdere un'opportunità di interazione sociale.
Eppure, in questi due anni e mezzo in Belgio (e in un po' di anni in più lontana da gente conosciuta a Londra) ho imparato una cosa: i social in questo non aiutano più di tanto. Non tutti sono predisposti alle relazioni a distanza, indipendentemente dal tipo di relazioni di cui si parli: "lontano dagli occhi, lontano dal cuore" non è mitigato da qualche post in più che appare sul feed di altri.
Ho scoperto di avvenimenti belli o tragici accaduti ad amici anche stretti assolutamente per caso, nonostante io sia sempre stata incollata ai social. Poi per carità, quando torno a casa (se e) quando si riesce ad incontrarsi, tutti sempre amici. Ma i social non mi hanno aiutato ad evitare che si diluissero i rapporti. In nessuno dei due sensi di comunicazione. Pubblicare foto di un bel viaggio (per esempio) non stimola riscontri, like a parte, non porta avanti una conversazione. E lo dico anche da parte mia: sono spesso spettatrice passiva della vita degli altri, e allora che senso ha? Oltretutto poi, quando ci si ritrova fisicamente insieme, un'esperienza passata sembra aver perso il diritto di essere raccontata perché "tanto l'ho già pubblicato, già lo sai".
Le persone con cui ho mantenuto un rapporto davvero stretto, quelle a cui chiedo e che mi chiedono "come stai?" non sono quelle più attive sui social. Sono persone con cui facciamo reciprocamente uno sforzo di sentirci nel privato.
Con questo non voglio dire che i social siano il male. Sono un importante strumento, e ci saranno sicuramente degli aspetti negativi, in questo periodo.
Per esempio scopro di tanti eventi che si tengono qui a Namur grazie alle condivisioni su Facebook; sono aggiornata sugli orari di apertura ed eventuali chiusure straordinarie di negozi in cui vado abitualmente perché vedo i post di aggiornamento su Facebook e/o Instagram (e no, non hanno siti internet, e in ogni caso non è che andrei ogni giorno a controllare perché "Chissà se oggi quelli del negozio di alimenti sfusi hanno avuto un imprevisto"); quando organizziamo uscite al cinema, o feste di compleanno, o gite in kayak, si fa ormai sempre su Facebook perché, innegabilmente, è comodo, è pratico, è veloce.
"Ma non potresti semplicemente limitarne l'uso? Controlli quello che ti serve, lasci stare la gente sconosciuta, ignori i contenuti che non ti aggradano?"
Potrei, se fossi una persona equilibrata, con una buona autodisciplina e non curiosa come una scimmia. Ma guess what?
Ho la sensazione di avere un sacco di cose messe alla rinfusa dentro la mia testa, sento il bisogno di fare un po' di chiaro. Quindi ho deciso di disattivare per quaranta giorni i miei account social. Uniche due eccezioni: Youtube, perché ho già fatto una cernita dei contenuti che mi interessano e perché ormai lo uso principalmente per video che offrano degli spunti e non siano semplicemente riempitori di tempo, e Goodreads, perché non lo considero/non lo uso in quanto social.
Perché quaranta giorni? Avevo pensato ad un mese, poi mi sono detta: Gesù è stato quaranta giorni nel deserto a resistere alle tentazioni del Maligno, chi sono io per fare di meno? Si, ho appena paragonato Gesù e il deserto a me e i social. Tu chiamale se vuoi manie di grandezza.
Ovviamente questo non significa che mi sto dando all'eremitaggio: sono sempre raggiungibile sui canali "privati", anche se qualcosa mi dice che il tipo e la quantità di interazioni che avrò non cambierà comunque.
Se normalmente arrivate qui dai miei post condivisi su Facebook, avete due opzioni: iscrivervi al blog e ricevere una mail ogni volta che c'è un aggiornamento (c'è un bel tasto blu "segui" da qualche parte) o salvarvi il blog tra i preferiti e darci un'occhiata ogni tanto. Sempre che in questi quaranta giorni io scriva qualcosa, ben inteso.
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