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Namur, Belgium
Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

lunedì 17 ottobre 2016

La temperatura sperata, questo gran mistero.

I Belgi sono persone strane: sono sicura che chiedendoglielo, direbbero esattamente la stessa cosa di noi Italiani, e forse questo vale un po' per tutti. Ma i Belgi sono davvero strani.
Una cosa che salta immediatamente all'occhio, soprattutto durante i cambi di temperatura (perché “stagione” mi sembra un concetto piuttosto astratto da queste parti), è che i Belgi si vestono con un apparente, relativo, unico criterio: la temperatura sperata. Il concetto di temperatura sperata, a seconda dei casi, si sovrappone ad altre temperature: ci sono delle volte in cui quella sperata è quella che dovrebbe essere normale guardando il calendario (cioè quella prevista), altre volte è quella che ci si illude dovrebbe esserci, magari subito dopo un'anormale ondata di caldo in autunno (quella anormale ma buona).
Non sono mai stata una persona freddolosa, e ho anzi passato buona parte dei miei anni finora a rispondere a “ma non hai freddo?” provenienti dalle fonti più disparate. Però non è che per questo voglio morire ibernata, quindi quando le condizioni climatiche lo richiedono mi vesto di conseguenza (mediamente, ecco, ricordiamoci sempre che non sono evidentemente capace di azzeccare la temperatura giornaliera).
Loro no. Ora (beh, ormai da un paio di settimane) che è arrivato l'autunno, mi sono arresa al cappotto. Con tanto di strati intermedi e di sciarpa, a volte. E invece no, loro* belli e paciosi ancora vanno in giro con la maglietta a mezze maniche e spesso con i pantaloncini corti. Questo perché settembre è stato particolarmente caldo per gli standard nazionali, ed evidentemente non sembrandogli vero hanno deciso di aggrapparsi a questa inaspettata ventata di buon tempo con i denti e con le unghie. Anche dei piedi, a giudicare dal fatto che alcuni portano ancora i sandali.
Per dire, qualche giorno fa mi sono sentita dire: "Oggi sarebbe stato il caso di mettere gli stivali, ma sai, una volta che cominci con gli stivali non te li togli più perché sono belli caldi, e allora voglio aspettare ancora un po'". Come, scusa?

L'esempio più clamoroso però risale a qualche mese fa.
Non me lo scorderò mai: io e A., che vive a Lussemburgo, decidiamo di incontrarci ad una confortevole metà strada, il che vuol dire nei dintorni di Bastogne, che nella mia ignoranza non avevo collegato alla battaglia delle Ardenne. Ha nevicato tutto il giorno, ma seriamente. A metà pomeriggio siamo state sorprese da una bufera di neve talmente forte da riuscire a camminare a stento, con tanto di ombrello per ripararci.
Era il 24 aprile.**
Di ritorno verso casa, aspetto in stazione il mio treno (che, indovinate un po'? Era in ritardo di mezzora... prima o poi ve lo scrivo un post dedicato solo ai treni di questo Paese) addobbata con piumino, sciarpa, berretto, guanti, e stando ben attenta a non disperdere calore. Sono circondata da studenti che tornano a Namur per la settimana (è domenica sera), e molte delle ragazze sono spavaldamente vestite con giacchettina e ballerine...

...

BALLERINE?! In mezzo alla neve, solo se hai una pinna caudale al posto dei piedi. E comunque no, che ti si sciolgono. Ma immagino che il fatto che il calendario segnasse il 24 aprile fosse ragione sufficiente per ignorare i gradi celsius negativi che il simpatico tempo belga aveva deciso di proporci.

Non è la prima volta che guardandomi intorno non solo quella vestita più leggermente: succedeva di continuo al centro, a Londra. Ma lì era principalmente per una questione di ...stile?…, per cui le ragazze col vestitino e i sandali tremavano dal freddo ma non avrebbero mai rinunciato a mostrare quei centimetri di pelle in più. Era una scelta ben precisa, e assolutamente consapevole di essere fuori da qualunque schema climatico.
Invece ora, guardandomi in giro, mi viene in mente solo una cosa… Ma non hanno freddo?



* La maggior parte di loro, c'è anche gente normale...

** Tra l'altro, era il weekend della Liegi-Bastogne-Liegi. Poracci.

giovedì 6 ottobre 2016

Brussels at war.

Ieri ero impegnata nelle mie letture quando ad un tratto mi sono scorse sotto agli occhi queste parole:

"However after he had walked about for an hour or two he came to the conclusion that the fault was not in him, but in Brussels itself. He knew what a city at war looked like, and this was not it. There ought to have been companies of soldiers passing up and down, carts with supplies, anxious-looking faces. Instead he saw fashionable-looking shops and ladies lounging in smart carriages. True, there were groups of officers everywhere, but none of them appeared to have any idea of pursuing military business [...]. There was a great deal more laughter and gaiety than seemed quite consistent with an imminent invasion by Napoleon Buonaparte."
"Jonathan Strange & Mr Norrell", Susanna Clarke

Da quando sono in Belgio mi sento chiedere spesso com'è la situazione, a causa dell'allerta generale terrorismo e degli attacchi, paventati o purtroppo davvero accaduti che siano. Io non sono mai stata a Bruxelles durante uno dei momenti critici, per fortuna, quindi non posso dire come reagisce la città nell'immediato. Ma ci passo relativamente spesso, quasi sempre in punti nevralgici, e questa descrizione centra in pieno il punto di una giornata qualunque.

Vorrei davvero sentire l'odore del nervosismo da guerra? Ovviamente no.
La sua assenza però è quasi surreale.