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Namur, Belgium
Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

domenica 20 marzo 2016

Ho vissuto quattro giorni senza cellulare e sono sopravvissuta. Più o meno.

Il cellulare mi è stato fatto sospirare: in un momento in cui tutti i miei compagni già alle medie avevano un Nokia (di quelli vecchi, belli, indistruttibili... poesia!), io ho dovuto aspettare il Natale del primo anno di liceo per ricevere l'agognato apparecchio. Durante i primi mesi del liceo, quelli in cui si formano i gruppetti, quelli in cui pare sia importante esserci, io non avevo strumenti di comunicazione (no, neanche Messenger. Figuriamoci, ci sono arrivata praticamente all'inizio del suo declino!). Questo, unito soprattutto al mio essere una secchiona di prima categoria, nel bene e nel male, non ha aiutato l'integrazione in classe, che infatti non c'è stata.
Ma sono sopravvissuta lo stesso, direi anche bene, e anzi ho imparato molte lezioni (come ho capito in seguito, mica lì per lì), quindi non ci lamentiamo.

A dispetto di ciò che quanto ho appena scritto potrebbe far pensare, una volta entrato nella mia vita il cellulare non è rimasto su un comodino a prendere polvere: grazie a varie esperienze - corali, perlopiù - ho costruito tanti legami che durano tuttora, per cui la mia vita sociale è sempre stata soddisfacente e richiedeva continui mantenimenti telefonici, dall'sms allo squillo (ah, gli squilli, quanta intrinseca poesia anche lì!).
Inoltre non è che io me ne stessi proprio con le mani in mano; mi sono sempre fatta coinvolgere con entusiasmo in tante attività, spesso anche nell'organizzazione delle stesse, e dunque il cellulare oltre ad uno strumento di evasione e socialità è diventato ben presto anche una necessità organizzativa: non solo io volevo restare in contatto con gli altri (e giocare a Snake, s'intende), ma altri avevano bisogno di potersi mettere in contatto con me - e questo spesso era fonte di nervosismi o cose pallose da fare.
Col passare degli anni entrambi questi aspetti si sono intensificati, generando nei confronti del cellulare un rapporto di dipendenza/amore/odio che a volte, ammetto, è stato esagerato.

Ovviamente, con l'avvento degli smartphone la situazione non poteva che "degenerare": in un attimo avevo concentrate nella mia mano mille cose e un'infinità di possibilità. Credo sia stato un processo che ha coinvolto chiunque abbia vissuto il cambio (qualche integralista dell' "analogico" ancora c'è, ma a poco a poco stanno cedendo tutti), anche se l'entità del cambiamento è stata diversa da persona a persona.

Poter restare sempre in contatto è sempre stato importante per me, ma è diventato fondamentale quando è cominciata la relazione a distanza: senza voler scrivere un trattato a riguardo - ce la stiamo cavando alla grande direi, ma qua nessun è un esperto - la quotidianità che cementifica un rapporto deve essere sostituita in qualche modo, e poter condividere sul momento alcune cose, spesso sciocche ma simpatiche, ritengo sia importante. È chiaro che esistono altri modi di comunicare (mail, videochiamate, la cara vecchia snail mail), che comunque usiamo (si, tutte e tre!) ed è evidente che in passato altri hanno affrontato la stessa situazione con meno mezzi, non sto dicendo che senza smartphone non si sopravvive: ma perché non sfruttare tutta la tecnologia a disposizione per rendere più semplice una situazione che facile non è?

Poi, certo, si è aggiunto il piccolo particolare del trasferimento, il che ha generato due necessità.
La prima non è altro che un incremento della voglia e del bisogno di mantenere i contatti, considerando che ora che non è solo G. ad essere lontano, ma... beh, tutti. Di nuovo, esistono altri modi, ma l'efficacia di un mezzo di comunicazione dipende strettamente dalla diffusione del suo utilizzo (fattore che per esempio ritengo fondamentale nella questione "Whatsapp VS Qualunque altra alternativa anche se migliore"). Ergo io posso pure mandare cinquanta e-mail, ma se i miei interlocutori preferiscono/usano di più la messaggistica istantanea, non cambieranno le proprie abitudini per me (perlomeno non per un disagio di pochi giorni).
La seconda, non trascurabile, è stata quella di comprimere la mia vita in 20+10 kg: largo quindi al multi-tasking, benvenuta razionalizzazione, evviva le mille funzioni del cellulare!

Non avevo compreso fino a che punto questo fosse rilevante fino a quando, qualche giorno fa, il mio cellulare ha deciso evidentemente di implodere: da acceso e funzionante, l'ho trovato sul tavolo spento e senza più alcun segno di vita. Nessuno. Inutili le possibili soluzioni trovate su internet, dunque mi sono convinta ad ordinarne uno nuovo.
E qui viene il Belgio bello.
Amazon.be non esiste. La soluzione più pratica è utilizzare Amazon.fr, ma anche con la spedizione Premium, prima di quattro giorni non se ne parla. "Eh vabbé, aspetterò".
Che esperienza catartica! Ho realizzato che uso il cellulare anche come

  • Sveglia: in realtà è una cosa che odio, perché non mi piace lasciarlo acceso tutta la notte (anche se in modalità aereo), ma ho risparmiato spazio e peso in valigia. Come ho risolto durante questi giorni? Utilizzando il computer (Sox, per Linux), ma questo ha generato un tentativo fallito di lunedì mattina e notti di malo sonno per via dell'ansia da "e se poi non mi sveglio?". Oltretutto, in questo tranquillo e silenzioso quartiere il rumore (infimo) del computer di notte si registra, evidentemente, come un martello pneumatico. Poco comodo per addormentarsi.
    Lezione imparata: riporterò una delle mille sveglie da viaggio che abbiamo in Italia.
  • Orologio: ho scoperto quanto sia orribile non avere idea di che ore siano. Dover accendere il computer per avere un'idea di quanto uno sia in ritardo o meno è davvero poco simpatico.
    Lezione imparata: è importante avere un orologio, e ho di conseguenza finalmente scelto il mio regalo di laurea.
  • Timer: questa è pigrizia pura. Impostare il timer permette di liberare il cervello dal doversi ricordare qualcosa: questo si applica alla cottura della pasta (si, io conto i minuti!, e poi assaggio, ovviamente) come alla durata della lavatrice (non vi ho ancora raccontato della lavatrice... rimedierò). Non avere il supporto del timer richiede di dover fare le cose con più consapevolezza, il che non è sempre un male.
    Lezione imparata: ridurne l'uso al minimo indispensabile, per allenare un po' la materia grigia.
  • Lista della spesa: è ovviamente un utilizzo non indispensabile, ma indiscutibilmente comodo. La possibilità di aggiungere alla lista della spesa quella cosa che ti viene in mente grazie ad un'illuminazione senza dover cercare la lista (che non è detto uno abbia con sé) e una penna e nell'esatto momento in cui ti viene in mente è molto piacevole.
    Lezione imparata: niente, si sopravvive senza. Ma con è meglio.
  • Memo vari: vedi sopra. Nel mio vecchio cellulare avevo delle liste varie, da "cose da riportare dall'Italia" a "cosa da comprare ad Ikea" che aggiornavo di volta in volta non appena mi veniva in mente qualcosa. Niente per cui mi sia disperata, una volta perso, ma comunque...
    Lezione imparata: si sopravvive anche senza questo. Ma con è comunque meglio.
  • Timer per la pillola: che sia un'applicazione fatta ad hoc o una sveglia, poco importa. "Ma l'ansia ti aiuterà sicuramente a ricordare". Ecco, no (ciao mamma!, no, non diventerai ancora nonna!).
    Lezione imparata: in caso di non disponibilità di sveglie, pagare qualcuno perché te lo ricordi.
Non mi è piaciuta la sensazione di smarrimento che questa situazione ha generato: capire di essere così dipendente da un oggetto non è stato piacevole; d'altronde, la mancanza forzata è stata un esperimento interessante, sia per la necessità di trovare soluzioni, sia per l'aver ispirato molte riflessioni.
Però, caro il mio nuovo cellulare, se potessi evitare di morire senza preavviso come il tuo predecessore, mi faresti un favore. Soprattutto perché Amazon.be non esiste.

martedì 15 marzo 2016

Cose a cui non mi sto abituando

Lo spirito di adattamento è stato fondamentale per l'evoluzione ma soprattutto per la sopravvivenza della nostra specie su questo pianeta. È ciò che ci ha permesso, per esempio, di colonizzare territori che presentano diversissime situazioni ambientali e diffonderci un po' per tutto il globo: dai ghiacci al deserto, dalle montagne alle pianure... da Roma a Namur.
Nonostante questa naturale tendenza ad abituarsi a nuove condizioni abbia già funzionato per alcuni aspetti, ci sono alcune cose che continuo a registrare come strane, e che dubito (e spero non) diventeranno mai parte della mia routine.

La pasta a mangiar via
Il rapporto dei Belgi col cibo è... strano.
Dal proliferare di ristoranti di varia natura (si va dalle tapas al sushi, passando per il thai, il greco, l'immancabile decina di italiani...) una si convincerebbe del fatto che i Belgi adorino mangiare; d'altra parte è ovvio che lo facciano in modo e maniera quantomeno discutibili.
Un esempio su tutti: la pasta a portar via. O meglio, a mangiar via.
Viene venduta una porzione in questi contenitori da asporto, che qualcuno acquista per poi tornare nel proprio ufficio o nelle sale comuni per mangiarla. Molti altri, la mangiano per strada mentre camminano. Questo trattamento poco rispettoso (nei confronti del cibo, s'intende) che noi riserviamo ad un gelato o al massimo ad un pezzo di pizza, loro lo elargiscono senza pietà alla pasta.
Che poi, "pasta".

Scotta come per noi è inimmaginabile (ma davvero, si vede che è scotta, anche da lontano), nel tentativo di darle un corpo viene sommersa da sughi misteriosi, e chiaramente liquidi: mano a mano che si scende verso il fondo del contenitore, la gustosissima pasta si trasforma in una zuppa. Ho visto gente bere dalla ciotola il sugo rimasto sul fondo, così come io farei (ma non faccio) con il brodo della minestra o il sughetto dell'insalata di pomodori.


(se non sapete chi è, vi manca un
grande capitolo degli anni 2000)

E a proposito di insalata di pomodori...
Le verdure che sanno di nulla
Ho scritto insalata di pomodori e mi è venuta la bavetta alla bocca.
La prima volta che sono andata a fare la spesa in modo serio e completo, tra le varie verdure ho deciso di comprare anche dei pomodori "per quelle volte in cui non mi va di cuocere anche il contorno". Ci ho provato una volta, e poi addio: l'unico modo per farli sapere di qualcosa da crudi è sommergerli con una quantità tale di sale da far venire un attacco di alta pressione anche a me, Miss 110/60. E quindi alla fine si cuociono anche quelli.
La notte sogno cofanate di verdura cruda gustosa.
[Unica eccezione di crudités ammessa: le carote. Ma solo perché vengono copiosamente intinte nell'hummus.]

I treni
Noi italiani abbiamo forse molti preconcetti sul resto d'Europa: se tanti pensano che più bella cosa d'Italia non c'è, molti sono convinti che all'estero funzioni tutto meglio.
Signori, il sistema ferroviario belga è riuscito nell'impresa di farmi rimpiangere Trenitalia & Co.
Apparentemente, lo sport nazionale qui è il "cancella il treno": la spensieratezza con cui appare quella scrittina rossa che ti preannuncia il tuo destino di attesa del prossimo treno è leggendaria. E non è che succede solo in orari di punta, in cui ci sono molte alternative, no! Capita anche la sera, quando c'è un treno ogni mezzora e rischi di stare ad aspettare per quasi un'ora in stazione.
I treni in ritardo, poi, non si contano.
Dei cambi di binario all'ultimo momento non parliamo: "Il treno per Bruxelles-Midi arriverà al binario 1. No 2. Aspetta, al 3. STELLA! Mara ti ho visto, torna fuori dalla stazione!".
Il rodimentimetro a volte registra picchi mai visti altrove.

I bagni dell'università
Oh che cosa divertente!
Molti dei bagni qui all'università sono unisex. La prima volta che sono entrata, mesi fa, mi ha colpito come, oltre ai classici tre bagni con porta, facesse sfoggio della propria presenza anche una fila di orinatoi. "Saranno retaggio di tempi antichi".
Ecco, no.
Alcuni dei ragazzi scelgono coscientemente di utilizzare quelli piuttosto che i bagni dotati di quella piccola ma significativa differenza che è la privacy mia e tua Santo Cielo porta. Per cui una va tranquillamente in bagno e si trova a salutare quello dell'ufficio accanto che, pacioso, è lì che fa pipì: considerando la quantità di volte in cui mi reco in bagno al giorno, notoriamente intorno alla decina, capiamo come è facile che mi capitino spesso situazioni del genere.
Che poi io neanche sono una che si scandalizza facilmente, ma visto che l'alternativa c'è...


... sono riusciti a farmi rimpiangere Trenitalia...

mercoledì 9 marzo 2016

Cambiare la base.

Disclaimer: ciò che segue è un post metafora.
I post metafora sono uno dei motivi per cui, un paio di anni fa, il blog non era più cosa (se quest'alta espressione italiana(?) non vi dice nulla, vi avevo fatto un riassunto della vita del blog qui): se non pubblicavo flussi di coscienza impenetrabili, c'erano i post metafora.
Cos'è un post metafora? Nella pratica, lo capirete leggendo. Nella teoria, è la più diretta descrizione di come funziona il mio cervello nell'osservare e analizzare il mondo: di per se sarebbe quindi un perfetto strumento per questo blog, ma il troppo stroppia in tutti i campi. Limiterò i post metafora, promesso.

Il tutto parte dal mio fondotinta.

...

UOMO!, Uomo, uomo... stai con noi. Non chiudere la finestra del tuo browser, non premere "indietro" sul tuo smartphone. Ti prometto che le teoria sarà poca, facile e magari anche interessante.

Dicevo.

Del fondotinta - qualora una/uno ne abbia bisogno, eh!, non vi sto dicendo di andare a spatacciarvi roba in faccia per forza - vanno presi in considerazione due aspetti fondamentali: il colore e il tipo.
Sul colore potrei scrivere papiri e papiri, ma mi limiterò a dire che deve essere uguale a quello della propria pelle: non facciamo scherzi. Non serve per far diventare la pelle del colore che avreste sempre voluto (o a dargliene uno, come sarebbe bello nel mio caso), ma per dare l'illusione di averla uniforme e immacolata. Assolutamente no quindi ad un fondotinta più scuro, ché non siete mica Snooki di Jersey Shore*

e vade retro ai fondotinta più chiari, è passato il tempo in cui la pelle diafana era sinonimo di alto rango e la si cercava a tutti i costi.
Unica eccezione concessa è se si è davvero, davvero, davvero chiari: può succedere che il colore esattamente uguale al viso generi reazioni della serie ma sei malata, ma quanto sei malata (succede perché si tolgono i rossori, come è giusto che faccia il fondotinta, e quindi quella sensazione di un minimo di vita che si emanava). In quel caso concepisco giusto un tono più scuro, non facciamo scherzi (e due!).
La texture è una faccenda un po' più complicata, perché sono tanti i fattori da considerare: tipo di pelle (secca come il deserto/brufolosa come la schiena di un rospo/un po' e un po' che non lo sa manco lei/normale che un po' dovreste vergognarvi se avete la fortuna di averla così), tipo di risultato che si vuole ottenere (quanto coprente? Completamente opaco o luminoso come una palla da discoteca? Una buona via di mezzo?), le condizioni atmosferiche esterne.

Le condizioni atmosferiche esterne.

Quando mi sono trasferita qui, sapevo che avrei dovuto cambiare fondotinta: non scenderò nei dettagli - anche perché c'è quel ragazzo lì in fondo che sta per vomitare - ma il (tanto) freddo e il (costante) vento incidono al punto da richiedere un cambiamento.
Quindi, come ora ormai avrete capito meglio di me (possiamo dirlo tutti in coro, se volete) ho cambiato il tipo, ma ho mantenuto il colore.

[Pronti per la parte metafora del post metafora?]

È quello che dovrebbe succedere quando ci si immerge in nuovo mondo, no? È inutile entrare a gamba tesa con il proprio bagaglio e le proprie convinzioni e pretendere che funzioni tutto come prima. Non può funzionare anche solo semplicemente perché ci sono dei fattori (vento e freddo in un caso, apparato culturale dall'altro) che non solo sfuggono al nostro controllo, ma non si accorgono neanche della nostra presenza. D'altronde non può nemmeno voler dire che uno deve scordarsi chi è e diventare qualcun altro per poter vivere altrove: dove lo mettiamo il nostro Io, dove il nostro essere? Quel bagaglio e quelle convinzioni sono il nostro passato, su cui si deve basare il nostro futuro, sia che questo significhi consolidare certi aspetti sia prendere le distanze da altri.
Allora che si fa?
Allora si mantiene il colore, ovvero tutto ciò che ci definisce come persona, che se fosse diverso stonerebbe su di noi: gli affetti, gli ideali, l'educazione, la cultura popolare (il cibo! la cultura del cibo!).
Allora si cambia la texture: si impara e ci si abitua alle condizioni esterne e si capisce cosa cambiare per adattarsi. Immagino che una gran fetta di cosa cambiare sia riconducibile alle aspettative: nei confronti degli altri come singoli, nei confronti degli altri come comunità. Qualcuno direbbe che è proprio il concetto di aspettativa ad essere sbagliato e mi troverei d'accordo, ma tra la teoria e la pratica c'è sempre un po' di differenza: quindi per il momento mi accontento di ridimensionarle, se non di eliminarle del tutto.

Capire cos'è colore e cosa texture non è sempre facile. Si va avanti a tentativi, come d'altronde coi fondotinta: solo che a sbagliare forse si perde qualcosa in più di qualche euro.
E mentre scrivevo questo post, mi è venuta in mente un'altra analogia che rende tutta questa metafora ancora più calzante. Non sempre la texture più adatta al momento è quella preferita in assoluto: incaponirsi però serve solo a non ottenere l'effetto desiderato.


[Sopravvissuti al post metafora?]


* Pur essendo fortunatamente fuori dal ciclone della televisione generalista e qualunquista - quanti punti spocchiosità ho appena conquistato? - ci sono dei feticci che, se e quando capita (ora molto meno, non avendo televisione), attirano morbosamente la mia attenzione. Tra questi, ci sono i programmi volgari, casca-braccia e abbasso-morale tipo Jersey Shore. Trovo il loro rivoluzionare la scala delle priorità affascinante. Quasi.