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Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

lunedì 13 marzo 2017

Gruppi Whatsapp ed expatriés.

Diciamocelo, Whatsapp è un truc ("coso") divertente. È anche utile e direi quasi necessario nel momento in cui ci si trasferisce all'estero ma a casa non si era considerati dei sociopatici: ovvero se si avevano delle relazioni sociali e tutta l'intenzione di mantenerle.
Una particolare manifestazione merita qualche parola in più: i famigerati gruppi. Una cernita naturale avviene alla partenza, cernita a cui non sopravvivono:
  • gruppi espressamente funzionali, nati con l'unico scopo si scambiarsi informazioni pratiche relative ad avvenimenti a cui non si prenderà più parte;
  • gruppi "seri" che si riferiscono alle attività di associazioni, club sportivi e simili di cui, per cause di forza maggiore (= non possedere il dono dell'ubiquità) si smette di far parte;
  • gruppi caciaroni che riuniscono tantissime persone diversissime tra loro accomunate da qualcosa che si perde nel momento in cui ci si trasferisce.
Sopravvissuti a questa iniziale mattanza, mediamente i gruppi che restano sono le varie possibili declinazioni di gruppi con membri della famiglia (solo di quelli ne conto diec... no, 'spè, non è possib... dieci?!?!) e i talmente-tanti-che-non-mi-metterò-a-contare gruppi con gli amici, quelli veri.

È innegabile che siano un potente strumento per mantenere un discreto livello di comunicazione, e lo hanno dimostrato già in tempi non sospetti, quando ero ben piantata a Roma: "Ah, voi giovani! Ma non potete vedervi di persona come ai vecchi tempi e guardarvi negli occhi mentre vi raccontate le cose?". Molto volentieri, e quello è sempre stato l'obiettivo primario, ma spesso andava più o meno così:

E quindi niente, aspettando la congiunzione astrale necessaria per riuscire ad essere tutti nello stesso posto, nel frattempo ci si aggiornava via Whatsapp.
Chiaramente quest'utilità è cresciuta esponenzialmente da quando mi sono trasferita all'estero, dandomi la possibilità di rimanere facilmente in contatto con determinati gruppi di persone; come accennavo già qui, il tipo di comunicazione che permette un mezzo come Whatsapp (o simili), fatto di parole scritte ma anche di immagini e suoni, consente una condivisione più completa e immediata, capace di restituire anche atmosfere e sensazioni difficili da descrivere o che sono sfuggenti se non colte immediatamente. E questo, per mantenere un rapporto che vada al di là di un qualche "ciao come stai?" ogni tanto, aiuta.

Fin qui, tutto bene. Dov'è il "Ma"?
Il "Ma" nasce dal fatto che fortunatamente le persone che sono rimaste in Italia si vedono e interagiscono anche al di fuori della dimensione di uno smartphone (nonostante le situazioni poco più sopra descritte dall'immagine). E questo, Signora mia, è ovvio.
E allora capita spesso che nei gruppi vengano riprese conversazioni che sono iniziate IRL (In Real Life) e di cui quindi non conosci l'incipit; che vengano citate persone che non conosci, perché apparse dopo che te ne sei andata; che vengano commentati episodi che non sai, perché avvenuti "a casa"; che si facciano riferimenti a notizie ed aggiornamenti che gli altri pensano di averti già dato, e allora "ah no, hai ragione, ne abbiamo parlato a voce. Ora ti dico...".

Egocentricamente parlando, ogni tanto è capitato di storcere un po' il naso, perché insomma!, soprattutto se è una cosa rilevante, perché non le/gli è sembrato il caso di assicurarsi che lo sapessi? Perché non ha notato la mia assenza, nel gruppo di persone a cui lo diceva?
È un tipo di pensiero di cui non si è poi alla fine particolarmente fieri, ma ciclicamente ritorna e ristabilisce l'ordine quando pensi di essere una bravissima persona: magari ti meriti ancora solo un brava. O forse manco quello.
E poi sei tu ad essertene andata, sei tu ad aver deciso di voler andare all'estero, anche se saresti potuta restare: non hai fatto le valigie perché non avevi alternativa, le hai fatte perché sentivi la necessità di ampliare un po' di orizzonti. E non è che non sapessi cosa vuol dire, per i rapporti con la tua "vecchia vita", prendere e partire: durante quei quasi sei mesi a Londra è successa spesso la stessa cosa, e a volte a farlo eri proprio tu. Certo, allora si parlava di mesi e non di anni, i buchi di racconto si sarebbero colmati in fretta, stavolta chissà.
E poi dovresti essere contenta, ché senza queste incursioni su Whatsapp di faccende della vita vera, magari certe cose non le sapresti mai: meglio un accenno da cui ricostruire la storia che il nulla assoluto, no?

Che poi, senza i gruppi su Whatsapp... ma lo sai quanti gattini in meno manderesti in giro?

Eh!, eddai!, su!

giovedì 9 marzo 2017

Il Belga.

"Come va col francese?"

Benino, direi.
Da settembre ho cominciato un corso serio e strutturato di sei ore a settimana (3+3), che chiaramente è più adatto di un apprendimento "al volo" per i miei schemi mentali: ho bisogno di sapere quali sono le regole, così da poter riconoscere le miliardi di eccezioni (sigh!) e catalogarle nella giusta scatola. Tre ore due volte a settimana è un ritmo impegnativo, tant'è che spesso durante la pausa di dieci minuti (specialmente il lunedì, specialmente se vengo da un weekend negli Uk) ne approfitto e mi faccio un riposino. Perché se gli anni di studio all'università mi hanno insegnato qualcosa, è certamente la capacità di fare brevi e ristoratori pisolini appoggiata alla scrivania.
Un'altra cosa certamente interessante del seguire un corso di lingua per stranieri è il melting-pot in cui ci si ritrova immersi: la diversità di tradizioni e culture è sempre molto stimolante, soprattutto perché la nostra insegnante cerca sempre di trovare spunti per confrontarsi in tal senso. D'altronde è pur vero che nella mia classe ci sono delle persone... particolari, le cui gesta meriterebbero un post a parte (quasi quasi), per cui ogni tanto mi scatterebbero i cinque minuti. Poi si respira e via.

Il mio livello di comprensione del francese parlato è direi molto buono e piano piano gli si sta affiancando anche una basica ma efficace capacità di formulare frasi, anche non programmate in anticipo: soprattutto, la necessità di soddisfare nuove esigenze man mano che la mia permanenza qui si allunga (visite mediche, iscrizioni in piscina, abbonamenti al cinema, concerti) ha fatto sì che perdessi un po' di quel mutismo determinato dal pudore di non voler commettere errori.
Stica, insomma.

Ogni tanto però devo ricordarmi che in realtà io non sto imparando il francese, ma il francese belga: nonostante il sempre più in voga "eh ma vabbè, ma tanto è come se fossero Francesi", esistono delle interessanti differenze tra le due lingue, una delle quali in particolare può creare seri problemi di organizzazione.


n.d.a. E poi qui si è consumato il "dramma": ho scritto tutto il resto del post, con il mio bravo elenchino tutto carino tutto fru fru e poi, alla fine, facendo una ricerca per lo spelling di una parola, ho trovato questo post . Più preciso, più completo, più tutto. E niente, quindi vi lascio il link, perché davvero non mi sembrava il caso di scrivere un doppione, essendone conscia.

Se vi chiedevate dove fossi finita, sappiate che questo epic fail mi ha tolto qualunque spunto creativo. Recupererò.