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Namur, Belgium
Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

domenica 24 settembre 2017

Les Fêtes de Wallonie, ovvero quella volta in cui i Belgi mi chiesero "ma sei proprio sicura di voler restare nel weekend?".

Lo scorso weekend* si sono celebrate (attenzione perché mi è plurale!) les Fêtes de Wallonie: come ogni anno, a metà settembre Namur si trasforma completamente per celebrare lo spirito e le tradizioni Walloni, richiamando persone da tutta la provincia (e oltre!).
Data questa nuova veste di Namur, mi sono venuti a trovare amici da tre Paesi (ma quanto siamo internazionali!) che avevano già visto la città e per cui questo twist sarebbe potuto essere interessante.
Anche dormire in sei in trentacinque metri quadrati circa è stato molto interessante.
(Sul dividere un unico bagno invece ormai siamo un gruppo già ampiamente collaudato, no problema.)

Oltre all'esorbitante quantità di gente che si trova in giro, la differenza fondamentale per la città la fanno gli stand che invadono le strade, e che si dividono principalmente in stand di musica dal vivo o dj set, di cibo e di peket.

Sulla qualità della musica non voglio esprimere giudizi, e certamente per alcuni dei gruppi dal vivo v'è una componente di tradizione e di cultura popolare che non mi appartiene e che non so identificare, rendendomi impossibile apprezzarne la presenza. Per altri, e in generale per quasi tutti i dj set, semplicemente non voglio fare l'antipatica e non avendo nulla di carino da scrivere, mi astengo...
È comunque molto apprezzabile lo sforzo di organizzazione che ha fatto sì ci fosse sempre un sottofondo musicale, e trovo molto bello che venga data la possibilità di esibirsi a così tanti gruppi. La sera vengono organizzati dei concerti veri e propri, con gruppi (pur sempre locali) che attraggono migliaia di persone.

Gli stand a tema culinario raccontano per lo più le tradizioni wallone e le produzioni locali del territorio: oltre a quelli in giro per le strade, nel giardino del municipio ve n'erano diversi posti in piccole casette di legno, tant'è che coi cappotti e il cielo grigio sembrava quasi un mercatino di Natale. Se avessi davvero lo spirito di cronaca in me, avrei fatto mille foto suggestive, ma siccome ci siamo andati avendo una fame da lupi, ci siamo lanciati alla ricerca del nostro pranzo: alla fine ho optato per un panino con hamburger di manzo, foie gras, affettato d'anatra, insalatina e una meravigliosa salsa di cipolle. Di questo abbiamo una rara immagine, ma solo perché dovevo intrattenermi mentre aspettavo con la bava l'acquolina in bocca.


Questa è stata la prima scelta, s'intende. Poi, visto che les Fêtes de Wallonie ci sono una volta sola all'anno, come rinforzino è stato aggiunto un altro panino con formaggio di capra prodotto dall'omino dello stand, pancetta, vinaigrette con aceto balsamico. Ah, e sempre un po' di insalatina, ché mangiare leggero è importante.
Inutile a dirlo, birre a profusione.

Per le strade, invece, si trovava un po' di tutto, dal simpaticone a base di maiale,
"Der majale n' se butta via gnente" suona meglio, diciamocelo.
ai mega pentoloni di tartiflette (patate, pancetta, cipolle e rebochlon, un formaggio tipico),
Mi si è impennato il colesterolo.

fino ad arrivare a numerosi stand di dolci, principalmente divisi in due categorie: gaufre (quelli che noi chiamiamo waffle) e... churros. Devo dire che ancora non mi è estremamente chiaro il perché i churros siano così tanto apprezzati, ma soprattutto che ci facessero in una manifestazione che celebra le tradizioni wallone, ma tant'è...

Protagonista indiscusso de les Fêtes de Wallonie è pero senza dubbio il peket. Si tratta di un liquore a base di ginepro che viene aromatizzato aggiungendoci sciroppi di ogni tipo: tipicamente non se ne acquista uno solo, ma viene venduto in "vassoi" con formule del tipo 6+1 gratis (ad un costo variabile, ma intorno ai 6-7 euro). Da notare come una delle varianti si chiami couilles de singe (letteralmente, "coglioni di scimmia"), a quanto pare perché l'aromatizzazione richiama una caramella così denominata: allora!, ora si spiega tutto...
Esteticamente grazioso, in fondo.
È uno di quei non rari casi in Belgio in cui non conta la qualità, bensì la quantità: non essendo molto alcolico, è necessario berne molti per cominciare a sentirne gli effetti e raggiungere quel così disperatamente ricercato stato di ubriachezza molesta.
E qui arriviamo al tasto dolente.
Una delle prime cose che si notano trasferendosi da queste parti è che i belgi, e gli studenti in particolare, non conoscono i propri limiti nel bere alcolici: o meglio, o se li scordano ogni volta o li ignorano completamente. È scena comune infatti il venerdì e il sabato (ma anche la domenica, il lunedì, il martedì...) sera vedere gente completamente ubriaca fuori dai pub o inginocchiata per strada a vomitare. E quando ci sono le feste universitarie, si capisce quanto una festa sia stata "di successo" a seconda della quantità di macchie di vomito e dell'intensità dell'odore di urina che si trovano per strada la mattina dopo.
Ah già, perché un'altra caratteristica dei Belgi è che pisciano letteralmente in mezzo alla strada senza alcun tipo di ritegno. Principalmente gli uomini, per ovvie facilitazioni anatomiche, ma anche le donne non si fanno problemi se trovano due macchine tra cui accucciarsi. Ma anche se non le trovano.
Questa mancanza di autocontrollo in situazioni come les Fêtes de Wallonie si manifesta ai suoi più alti livelli, soprattutto perché, e non è un fattore da sottovalutare, solitamente si svolgono il weekend successivo alla rentrée, l'inizio dell'anno accademico: questo implica che molti studenti, invece di tornare a casa per il weekend come normalmente succede, restano in città per festeggiare "col botto". E molti di loro sono al primo anno, per la prima volta fuori di casa, con un sacco di ghiaccio da rompere con i futuri compagni di corso. Il coraggio liquido è così disponibile, e così socialmente accettato...
Abbiamo visto scene incredibili: gente ubriaca ad orari improbabili, seduta sui marciapiedi a piangere, sdraiata in mezzo alla strada priva di sensi. Il tutto contornato da decine di persone che fanno pipì in qualunque angolo (e non), indipendentemente dal fatto che siano alla luce o al buio, vicino ad altri o lontano, cosicché quell'appiccicaticcio che senti sotto la suola delle scarpe sai perfettamente di cosa è un miscuglio ma tenti di dimenticartelo ad ogni passo.

(C'è da dire che la mattina dopo le strade sono intonse: il modo in cui tengono a ristabilire la pulizia della città dopo qualunque evento, che sia una festa o il mercato rionale, è commovente.)

Abbiamo visto anche tanta gente divertirsi genuinamente, tante famiglie che passeggiavano vivendo la città in fermento, concerti divertenti e molto gradevoli. Fino a poco dopo l'ora di cena, l'atmosfera è molto carina, e almeno una volta nella vita secondo me vale la pena di fare un giro.
Soprattutto, per la prima volta in molto tempo abbiamo assistito ad uno spettacolo di fuochi d'artificio davvero bello e con cose nuove, di quelle che ti fanno dire "Wow!" e poi restare con la bocca aperta. Fornisco qualche diapositiva (avevamo già ampiamente mangiato, mi sono potuta concentrare sullo scattare delle foto):


Quella sagoma squadrata che si intravede è il profilo della Citadelle.





In conclusione, sono stata contenta di esserci stata questa volta (l'anno scorso ero in Inghilterra), ma vedo probabile che io vada lontano durante la prossima edizione.
Magari dopo aver preso al volo un panino con hamburger, foie gras, anatra, cipolle. E insalatina.


* In realtà gli eventi per les Fêtes de Wallonie si protraggono per una decina di giorni, ma il culmine è durante il secondo weekend.

venerdì 15 settembre 2017

Scarpe da ginnastica e femminismo.

Eppure io non credevo potesse essere un'operazione così complicata.
In fondo, dovevo solo comprare un paio di scarpe da corsa.

Accade che siccome l'anno inizia per davvero a Settembre, mica a Gennaio (nonostante ciò che vogliono sempre farci credere), ci sia il solito buon proposito di muoversi un po' di più: tra l'altro esiste un centro sportivo dell'università, la cui tessera annuale costa agli studenti la bellezza di 35 euro, per cui non approfittarne sarebbe davvero un peccato.
La situazione che mi si presenta ma che non credo (ancora) sarebbe poi diventata un problema è che le scarpe da ginnastica che ho portato quando mi sono trasferita, già provate da anni di utilizzo, mi hanno abbandonata l'inverno scorso.
Tocca ricomprarle. Scarpe da ginnastica, nere, è praticamente già fatta.
Scartata l'idea di acquistarle online (preferisco provarle) e di andare da Decathlon (decisamente fuori mano), mi faccio un giro nel più grande negozio di sport di Namur. Entro, scendo al piano inferiore, cerco la parete dedicata alle scarpe da corsa da donna e appena alzo lo sguardo mi prende a momenti un attacco epilettico.

Rosa. Rosa sparato OVUNQUE. Non esiste un modello da donna che non abbia del rosa shocking: si va dalla delicata versione nera e rosa alla più spumeggiante celeste evidenziatore e verde acido. Col rosa shocking, s'intende. Sono uscita di corsa (ma senza le apposite scarpe), un po' traumatizzata.
Una cosa simile era già successa nello stesso negozio (che fa parte di una grossa catena) con il costume per la piscina: lì però è stata in parte colpa mia, perché essendo in periodo di saldi mi sono rifiutata di comprarne uno a prezzo intero, cosa che mi avrebbe permesso di rifuggire l'orrido colore. Pecunia non olet quindi non vedo perché gettarne via per delle sciocchezzuole. Che poi, in acqua, ma chi lo vede? Comunque.

Io il rosa lo detesto. Bene il viola, ancora ancora qualche sfumatura di fucsia, ma il rosa che è proprio rosa lo detesto. Detesto lui e l'associazione forzata col genere femminile che ci viene imposta dal gusto "sociale", con quella dicotomia inflessibile del blu per i maschi e il rosa per le femmine.
Anche da piccola non ho avuto la fase del rosa (non certo per motivi femministi, almeno consci), non mi è proprio mai piaciuto. Di conseguenza la sua imposizione, manifestata dal non avere scelta, mi infastidisce enormemente. Vorrei poter essere libera di scegliere, sempre e comunque, se e come manifestare il mio appartenere (e riconoscermi) al genere femminile.

È incredibile come, ad avere le antenne rizzate verso un determinato argomento, appaiano nella vita quotidiana e senza andarli particolarmente a cercare spunti di riflessione a tal proposito. Il dove, il come il quando e il chi sarebbero troppi e forse poco interessanti. Ma alla fine il succo della questione è questo: vorrei potessimo essere libere di scegliere, sempre e comunque, se e come manifestare il nostro appartenere e riconoscerci nel genere femminile.
Si, l'ho appena scritta la stessa frase, ma per me è cruciale: per spiegarvi perché, facciamo un passo indietro. Perché lo squilibrio è da entrambe le parti.

Essendo una giovine (?) donna (?) ancora nella fase di autodeterminazione nel mondo, la questione femminista è centrale nel mio approcciarmi alle cose. Già "femminista" è un termine che poco apprezzo, nel suo contrapporsi a "maschilista": se il maschilismo ritiene infatti l'uomo superiore alla donna, il femminismo dovrebbe porsi come obiettivo quello di rendere agli occhi della società uomini e donne come pari. Non uguali, perché siamo diversi in mille e uno modi, ma comunque e sempre pari. Però per semplicità lasciate che io continui ad usare femminista e femminismo, avendo questi significati in mente.
All'inizio, dovendo smuovere un sistema rigido ed immutabile, il femminismo ha dovuto tendere a degli estremismi. Si bruciavano i reggiseni, non ci si depilava e si rifiutava la tipica immagine della donna quale angelo del focolare, devota alla gestione della casa e alla crescita dei figli. Mi sembra normale: più forte è il vincolo, più violento deve essere il distaccarsene.*
Però poi i tempi sono cambiati, le cose si sono evolute: c'è ancora molta strada da fare, ovviamente, lunga è la via per la parità, ma la situazione è andata migliorando. Mi sembra però che il femminismo, e più certamente l'impressione che ne ha la società, non siano evoluti di pari passo.
C'è ancora quell'idea che una femminista vvvera, una donna indipendente debba ricusare qualunque ruolo, stile e convenzione tradizionalmente associati alle donne. E qui ritorna la frase sull'essere libere di scegliere, sempre e comunque.
Per me questo tipo di scelta non è concepibile e penso sentirei di star buttando la mia vita, ma se una donna nel pieno delle sue capacità mentali e in totale indipendenza (quindi non perché è ciò che ci si aspetta lei faccia, non perché è il suo ruolo predestinato) decidesse di restare a casa e non lavorare per dedicarsi al marito (o alla moglie!) e ai figli, chi avrebbe il diritto di giudicarla?
Se una donna che lavora, che ne so, nel mondo della finanza decidesse di vestirsi con abiti a fiori (appropriati, ma a fiori) rinunciando a quella pratica di mascolinizzazione che in certi ambienti è ormai la norma, perché dovrebbe essere intaccato il suo valore professionale agli occhi degli altri?
Etc, etc, etc. Mi si permetta di lasciare questa parte un po' monca, avendo dato giusto l'idea, perché avevo continuato a scrivere ma davvero non avrei finito più.

Quindi insomma, ero lì che pensavo che quelle scarpe rosa sarebbero dovute sparire dalla faccia della Terra, quando ho realizzato di aver scritto "incoerenza" dappertutto. Io il rosa lo detesto, ma se a qualcuna piace perché dovrebbe rinunciarci in nome della bandiera femminista? Perché dovremmo auto-imporci dei limiti in nome dello sforzo di eliminare quelli che ci vengono appioppati tutti i giorni da sempre?

Allora evviva le mensole di scarpe da corsa in tutte le declinazioni del rosa.
Ma che se ne trovino di rosse, verdi e blu, con Hello Kitty ma anche con i Pokemon, col fiocchetto ma anche senza nulla.

E per carità del Cielo, a me servono semplicemente nere.



PS: Secoli di mentalità non si cancellano in pochi decenni: il maschilismo si nasconde subdolamente anche nella lingua, e in tradizioni che ci sembrano assolutamente innocue. Due esempi su cui non mi dilungherò (ché altrimenti, più che un post diventa un libro), ma approfondirò volentieri qualora interessasse: espressioni come "quella è una donna con le palle" e il lancio del bouquet della sposa ai matrimoni.

PPS: Esistono certamente migliaia di paia di scarpe da corsa da donna "normali". Mi ha fatto però riflettere come non siano immediatamente accessibili.

* Una saliente parentesi. Consiglio spassionatamente la lettura di "Cara Ijeawele: Quindici consigli per crescere una bambina femminista", di Chimamanda Ngozi Adichie (https://www.amazon.it/Cara-Ijeawele-Quindici-femminista-Frontiere-ebook/dp/B06XDLRXQB). Affronta in modo pesato e serio la questione femminista, ma senza dogmi e in modo scorrevole. Un passo che ho evidenziato e che secondo me è un ottimo strumento per analizzare gesti e parole nella vita di tutti i giorni recita:
Spiegale che se critichi una certa cosa X nelle donne, ma non critichi la stessa cosa X negli uomini, allora non hai un problema con quella cosa, hai un problema con le donne.

Provate come esercizio a pensare ad atteggiamenti mal visti se adottati da una donna ma assolutamente normali se adottati da un uomo. Vi accorgerete che sarà come l'inizio di una valanga, una volta trovato il primo ve ne verranno in mente a migliaia: quanto è intrinseco in noi il concetto della donna quale presenza eterea e delicata?
Tra l'altro compie oggi 40 anni, ma si tratta solo di una fortuitissima coincidenza scoperta assolutamente per caso.