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Namur, Belgium
Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

martedì 16 gennaio 2018

L'attitudine all'ombrello.

Non mi riferisco all'espressivo gesto dell'ombrello (che credo sia del tutto prerogativa italiana): oltretutto, sarei curiosissima di vedere i Belgi esibirsi in un modo così assertivo. Non so perché, ma non riesco proprio ad immaginarmeli...

Per attitudine all'ombrello intendo il rapporto che si ha nei Paesi in cui il tempo fa schifo più a nord dell'Italia. Al di là di alcune cose che sono veramente inconcepibili (tipo i calzoncini corti in mezzo alla neve), di solito lo spirito d'adattamento funziona così: uno arriva e vede gli altri che si comportano in una certa maniera e pensa che siano matti; mantiene le proprie abitudini; soccombe al fatto che se gli altri, che in quel Paese ci sono nati e vissuti, fanno determinate cose forse un motivo c'è; si adatta ai costumi locali.
Io ci ero già passata, a proposito dell'ombrello, quando ero stata a Londra, ma a quanto pare tre anni d'Italia mi avevano poi fatto dimenticare la nuova Conoscenza appresa e quindi arrivata a Namur è ricominciato tutto da capo.

Il primo concetto che è stato vitale imparare è che non importa se la mattina ti svegliano i passerottini cinguettando e porgendoti fiori delicati appena sbocciati; non importa se il cielo è azzurro terso quasi da far male agli occhi quando lo guardi; è irrilevante che il sole splenda e facciano 25 gradi. In un Paese in cui in un giorno hai tutte e quattro le stagioni, l'ombrello devi averlo sempre. Di più, devi averlo soprattutto se la giornata comincia splendidamente, perché a quel punto la tentazione di vestirsi per il bel tempo spesso prende il sopravvento e allora bagnarsi come un pulcino, senza troppi strati a coprirti, è ancora peggio.

Il secondo e ben più importante segreto da imparare è che avrai sempre l'ombrello con te, ma non lo userai quasi mai. Per due motivi principali. Che in realtà sono tre, ma procediamo con ordine.
Innanzitutto l'ombrello usato è bagnato. Essendo bagnato, bagna. E allora devi trovare un posto dove metterlo, e poi te lo devi ricordare, e poi se nel frattempo ha smesso di piovere ma non si è asciugato te lo devi tenere in mano... Certo, questo succede dappertutto, ma quando la pioggia è data 1:1 tutti i giorni, l'idea di affrontare tutto questo tedio quotidianamente spaventa più di qualche goccia d'acqua.
In secondo luogo, difficilmente la pioggia in Belgio conosce mezze misure. La cosa più tipica è la fastidiosa e senza senso pioggerellina a nebbia; assomiglia alla sensazione che si ha nelle torride estati quando si passa sotto ad un vaporizzatore di acqua: sai che c'è, la percepisci, ma resta comunque quasi impalpabile.
L'ovvia differenza è che qui non è torrida estate quando succede. Ovviamente.
Quando capita 'sta piaga (nda: spesso), l'uso dell'ombrello è potenzialmente ridicolo, perché la quantità di pioggia è minima e a maggior ragione si passa per lo strazio dell'ombrello bagnato per una sciocchezza. D'altronde è pur sempre acqua quella che si attraversa, per cui senza adeguata copertura si finirebbe per arrivare bagnati. La soluzione in questi casi è una giacca impermeabile col cappuccio.
Se piove seriamente invece, il 90% delle volte c'è un vento talmente forte che usare l'ombrello è inutile, addirittura controproducente: la probabilità che venga rotto o si apra "al contrario" è tale da non giustificare nemmeno il più blando dei tentativi. In questo caso non c'è speranza.
La giacca impermeabile col cappuccio è comunque sempre una buona idea.

[Il Woolrich certificato fino a -40 gradi e con il cappuccio più grande che io abbia mai visto è stato l'acquisto della vita.]

Nel mio caso particolare c'è un terzo motivo per cui l'ombrello fa da appendice onnipresente ma quasi mai usata, ma riconosco come non si applichi a tutte le situazioni: le distanze sono poco... distanti. Tipicamente per andare da un posto all'altro, per me che vivo "al centro", non ci vogliono più di dieci minuti a piedi. Tragitti corti, niente soste, alla fine non ne vale la pena. Ci pensavo proprio ieri, mentre andavo al corso di francese sotto una pioggerella non eccessiva ma comunque significativa: avevo l'ombrello, ovviamente, ma ho preferito non usarlo perché non ho ritenuto la situazione valesse l'ombrello bagnato.

Mi fossi vista due anni fa mi sarei data della cretina, ora mi sembra solo la scelta più pratica.
A parte per i capelli. Per i capelli no.
Se non avete idea di chi sia, non so se possiamo essere amici.
Ma ormai alla lotta contro l'umidità mi sto arrendendo. Quasi.

domenica 7 gennaio 2018

"Un'influenza in compagnia, un'influenza da sola" (semicit.)

Non sarò al top della mia forma fisica possibile, ma nonostante ciò fortunatamente non mi ammalo facilmente. Il più delle volte si tratta comunque di gnagnera, termine scientifico usato in famiglia per descrivere una sensazione di malessere generale tale da essere fastidiosa ma non invalidante (ad esempio, mal di testa, raffreddore e indolenzimenti ma senza febbre): quel genere di cose per cui piuttosto che uscire di casa ti incolleresti al letto ma che non sono sufficienti per non andare a lavorare, o per restare a casa senza un minimo senso di colpa.

La prima volta da quando mi sono trasferita che ho avuto un'influenza "seria" è stata un paio di mesi dopo il mio arrivo. Roba da non uscire dal letto per quattro giorni. Fortunatamente, la prevenzione e il caso hanno cooperato affinché sopravvivessi: da un lato avevo provveduto a rifornirmi di paracetamolo perché non si sa mai, dall'altro avevo fortunatamente sufficiente cibo da non morire di inedia. Non che abbia mangiato molto, la nostra tecnica di famiglia è restare idratati, cercare di prendere comunque la dose minima possibile di medicine ma soprattutto dormire in modalità letargo. Roba da cicli di sonno di 8-9 ore, intervallati da massimo un'ora di stop.
Quindi, dicevo, prevenzione e caso hanno fatto sì che io la passassi tranquillamente. Meno male, perché ero davvero da sola. Delle tre persone con cui avevo confidenza, due non c'erano e la terza era nelle mie stesse condizioni (la mia compagna d'ufficio: coincidenza?). E in ogni caso, con nessuna di queste c'era ancora un rapporto tale per cui sarebbero venute a vedere come stavo, ad assicurarsi che avessi mangiato almeno un minimo o a farmi semplicemente un po' di compagnia (anche via telefono).
Fossi vissuta a casa da sola in Italia avrei avuto processioni di gente desiderosa di essere aggiornata sulle mie condizioni di salute? No, ma ciò che importa sono quelle due o tre persone su cui puoi sempre contare, e che ci sarebbero state. E la famiglia, ça va sans dire.

Quando mi dicono "beata te che sei all'estero" ripenso sempre a quei quattro giorni: non avevo certo il vaiolo e infatti me la sono cavata egregiamente, ma stare male sapendo che non c'è nessuno a cui potersi appoggiare* è uno dei picchi massimi di solitudine che abbia mai raggiunto.

L'ultima volta che sono stata male invece è... adesso. Io e G. siamo tornati dalle vacanze qualche giorno fa, e ovviamente appena scattato il weekend è partito il Grande Malore: considerando che praticamente ogni volta che abbiamo incontrato un gruppo di amici durante le settimane in Italia c'era qualcuno che stava male, m'è andata anche di lusso.
È stato piuttosto improvviso, venerdì sera avevamo mille e uno progetti per il weekend e sabato mattina mi sono svegliata con tutti i possibili sintomi insieme.
Stavolta però non ero da sola. E io sono sicura che avere qualcuno che ti rimbocchi le coperte per assicurarsi che tu stia al caldo o che ti senta la febbre con la mano sulla fronte (e si, certo, c'è anche il termometro disponibile a venti centimetri di distanza, ma se non è validato dalla mano sulla fronte non serve a nulla!), che vada a fare la spesa e riempirti il frigo, che si accerti che tu beva abbastanza... io sono sicura che tutte queste cose funzionino tanto quanto il paracetamolo, anche se su un altro piano. Perché G. sarà pure ripartito per l'Inghilterra questo pomeriggio, ma nonostante io sia ancora un po' acciaccata sono sicura che domani mi sveglierò in piena forma e pronta ad affrontare non solo tutta la settimana, ma anche questo anno che già si preannuncia bello denso.
E nonostante io sia ancora un po' acciaccata e sia stata male davvero durante il weekend (il primo dei saldi, oltretutto!), non mi sento pervasa dalla solitudine di quei quattro giorni.

E oggi, oggi in particolar modo è importante, perché oggi sono due anni che sono a Namur. 




* Ovviamente, non mi riferisco a richieste d'aiuto serie. Per quello c'è il medico, o l'ambulanza. Parliamo di altro, di quelle piccole cose che potremmo catalogare come "pillole di calore umano".