Chi?

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Namur, Belgium
Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

venerdì 24 giugno 2016

Merci!


Parlavo qualche tempo fa con E. e commentavo il fatto che non essere padrona del francese non mi permette di essere gentile come vorrei.
"Beh, perché? Se sai salutare, dire grazie prego arrivederci, hai tutto il necessario".

La risposta mi ha spiazzata, e non capivo bene come mai: il ragionamento di per sé non faceva una piega, soprattutto se contestualizzato ad una situazione qualunque nel quotidiano al di fuori dell'università, ma non ero convinta.
C'ho pensato un po' su e ho capito dove stava la magagna: ora sono più tranquilla (perché davvero mi tormentava il pensiero di non capire) e voi avete qualcosa da leggere.

Il punto è che dire "buongiorno buonasera grazie prego arrivederci" non è gentilezza, è educazione. E se l'educazione è necessaria per essere gentili, le due cose non si equivalgono.
Cos'è quindi che mi manca? Perché ogni volta che sostengo brevi (brevissime!) conversazioni ho un groppino in gola per la consapevolezza di avere una capacità comunicativa gentile limitata? In che modo sarei gentile ad esempio con la cassiera del supermercato, se potessi esprimermi compiutamente? Beninteso, non mi riferisco ad una consuetudine, non avrei una check-list del tipo "buste della spesa-carta di credito-gentilezza", ma parlo di una mezza parola o una battuta mossa dalla spontaneità del momento. Non ho trovato esempi concreti, so che è successo innumerevoli volte (in altre due lingue) ma non saprei citare un episodio in particolare: proprio perché sono cose spontanee e piccolissime evidentemente lasciano il ricordo della sensazione, non del fatto. Lo facci(am)o per puro spirito gentilezza? Per la maggior parte si, ma esiste anche quella percentuale di autocompiacimento nel riconoscersi quale brava persona che forse non è il motore dell'atto, ma sicuramente ne è una graditissima conseguenza che dà un po' di dipendenza. Che è poi anche parte del motivo per cui spesso sono (siamo?) gentile con estranei anche quando lo sono meno con persone che conosco ma con cui non ho un feeling particolare, o con cui non condivido una simpatia.
[Spero questo risponda a chi leggendo si sia domandato: "Gentile? Ma chi, QUELLA?"]

C'è una vecchina che abita su una delle stradine per andare al supermercato; la porta che affaccia sul suo giardino dà direttamente sul marciapiede, in curva. La strada è piccina, ma abbastanza animata dal passaggio di persone (per la maggior parte studenti) e di qualche macchina.
E la vecchina sta lì, in piedi sul marciapiede, con il giardino che si intravede dalla porta alle sue spalle: non aspetta nessuno, non cerca qualcuno in particolare, non è con nessuno. Che sia freddo inverno o afosa estate, lei è lì, e le persone e le macchine le scorrono affianco in un flusso che la sfiora ma non la accarezza. Facevo parte anche io di quel flusso, fino a quando una volta le siamo passati accanto con i miei genitori e Madre l'ha salutata: e con che espressione contenta ci ha risalutati! Da quel momento ho cominciato a fare caso alla sua presenza, e a percepire un po' di solitudine (o magari è la vecchina più attiva del mondo e in quei momenti "scappa" da una casa piena di nipotini e di amore, eh!, chissà. Però non sembrerebbe).
Cerco allora di darle ogni volta tutto ciò che ho a mia disposizione in questo momento: attenzione e un sorriso.
"Bonjour Madame!"
"Bonjour, et merci!"

Lo sto studiando nel frattempo il francese, ma forse non è poi così indispensabile per suscitare un caldo e sincero sorrisone un po' sdentato.
È comunque un buon inizio.



Ps: e niente, pare il supermercato e tutto ciò che lo concerne stiano cominciando a diventare il centro del mio mondo.

domenica 12 giugno 2016

Da grandi superpoteri derivano grandi responsabilità. Da quelli stupidi...

Chi non vorrebbe essere un supereroe? Io si.
La fama? La gloria? Sapere di poter aiutare il mondo? Tutto molto bello, ma il vero motivo è che ci deve essere un fondo di categoria per supereroi, perché questi passano il loro tempo in giro a salvare quello di là, a sgominare quegli altri di là, ma o non hanno un lavoro conosciuto o con quello che hanno e fanno malissimo (perché supereroe o no, sempre 24 ore c'hai) riescono miracolosamente a sopravvivere. Mai un tizio in un costume che soffra la fame. Capiamo che non è possibile. Quindi una volta che sei della cricca, stai a posto a vita.

Ora, per fare il supereroe serve un superpotere.
A meno che non siate multimiliardari, tipo Ironman o Batman. Ma giacché non sto nascondendo conti offshore, saprete che non è questo il mio caso: abbisogno quindi di un superpotere come si deve.
La questione mi ha coinvolta parecchio, per cui ho potuto buttar giù una lista di plausibili capacità straordinarie che in qualche modo contorto potrebbero valermi un (probabilmente ridicolo) costume colorato.

Rinsecchimento di blog.
È più o meno matematico. Inizio a seguire un blog aggiornato costantemente e con contenuti interessanti; il blog inizia ad avere contenuti nuovi sempre più sporadicamente; a volte addirittura i nuovi post non solo sono sporadici, ma fanno pure schifo; si giunge ad una fredda, inaggiornata morte. Nel migliore dei casi, resta comunque aperto, abbandonato, per cui almeno c'è la possibilità di rileggere vecchi post meritevoli: triste evenienza, ma con un lato positivo. Nel peggiore dei casi, sparisce per sempre.
Possibile uso. Scie chimiche, vaccini che causano l'autismo, complottismi, rettiliani, neofascismi: di blog da far chiudere e dimenticare per sempre ce ne sono talmente tanti che questo superpotere rischia quasi di essere utile.
Ma che immagine di transizione
tra i due argomenti vi ho trovato, eh?!

Autosabotazione igienica.
"Uh, ma guarda, ho appena finito il rotolo di carta igienica. Ora lo sostituisco immediatamente, così la prossima volta non mi ritroverò in una spiacevole e scomoda situazione!"
(Più tardi)
"D'oh!"
Possibile uso: non pervenuto. Ma il potere è grande in questa idiota.


Procrastination mon amour.
Qui so alcuni di voi penseranno di poter competere, ma vi assicuro che sono un peso massimo nella categoria. Che si parli di lavoro o di faccende di casa, non esiste limite temporale che non possa essere indefinitamente avvicinato senza aver portato a termine il compito. D'altronde, alla fine le cose vanno fatte, il che si traduce in molteplici disdicevoli scenari.
Deadline sul lavoro? Nottate passate davanti al computer con gli occhi iniettati di sangue dalla carenza di sonno, litri di tè o caffè (nei casi più disperati), nuovi capelli bianchi, automaledizioni e solenne promesse: "dalla prossima volta, comincerò a lavorarci per tempo". Pernacchie incredule come se piovesse.
Bisogna fare la spesa? La nostra eroina si ritrova alla fine con svariate buste della spesa il cui peso varia a seconda dell'intensità con cui si sfrutta il potere, ma che solitamente non è mai inferiore ai 5-6 kg. Per busta. Quella volta che si raggiunse il massimo, avendo svuotato completamente il freezer e saccheggiato le scorte di verdure in lattina (tenute in casa per le emergenze e non per uso quotidiano, tranquilla Madre), il peso delle buste fu tale da farmi avere braccia doloranti per due giorni.
È ora di fare le pulizie? Invece di suddividere il tutto in piccoli compiti quotidiani, si rimanda tutto ovviamente a quando la situazione è quasi al limite (quasi, perché non disdegno comunque l'igiene). Quelli che potrebbero essere pochi minuti al giorno di pulizie si accumulano inevitabilmente fino a generare una trasformazione alla Hulk: invece che grosso omone verde, mi ritrovo massaia, febbrilmente alla caccia dell'ultimo granello di polvere. Che, per la cronaca, non è mai davvero l'ultimo.
Possibile uso. Si accettano suggerimenti: anche in questo caso, il potere è talmente forte in me da rendere il suo inutilizzo un vero spreco per l'umanità. O così mi piace credere.

Disfunzione vestiaria.
Uno dei miei preferiti: consiste nell'incapacità di vestirsi coerentemente con la temperatura esterna del giorno. È sempre stato il mio tallone d'Achille durante quelle che una volta si chiamavano mezze stagioni e che ora sono "quei giorni di transizione a caso", ma qui in Belgio la situazione si fa ancora più interessante, perché a priori può piovere sempre. A maggior ragione è quindi richiesto uno studio accurato della situazione, per poter bilanciare il calore e l'impermeabilità dei vestiti, ma niente, non ce la si fa. È che mi scordo proprio della possibilità di mettere il naso (o la mano, ché mi sembra più pratico) fuori dalla finestra la mattina.
Possibile uso: facile. Infiltrandomi nel servizio meteo del nemico, potrei agilmente suggerire l'abbigliamento più inadeguato (senza neanche impegnarmi, tra l'altro).
"Signore, ha iniziato a piovere: procediamo con l'invasione?"
"Ma no, sciocchino!, era previsto sole: abbiamo i mocassini di camoscio, ci si sciupano!"
Nessuna donna normale si veste COSÌ sapendo che piove COSÌ.

giovedì 2 giugno 2016

May pills


"Non scrivi più."
Eh, si, lo so che non pubblico più da un po'. Ho anche cominciato a scriverlo, qualche post: ho bozze mezze smangiucchiate sparse su blogger, evernote, su carta, ma la verità è che spesso altro non erano che un flusso di coscienza sconclusionato e troppo personale. Ho già fatto questo errore in passato, quindi credo di essere ipersensibile alla problematica del "è troppo?": forse scambio il profondo col personale, forse le due cose sono inseparabili, forse ero semplicemente poco ispirata.
E sì che ce ne sono state di cose da scrivere! Anzi, riassumiamo un attimo Maggio.


Ci sono stati Madre e Padre: hanno beccato i migliori quattro giorni che abbia mai visto qui a Namur, con sole splendente e festival di arti circensi. Ho trascorso quattro giorni a dire "che culo che avete".
Ci sono state lauree, ma a casa: la lista delle cose che sto perdendo si allunga inesorabilmente, e averlo saputo fin dall'inizio non aiuta.
C'è stato un weekend lungo di vera primavera in Inghilterra, con un sole pallido ma splendente e un'esplosione di verde e fiori da stringere il cuore.

Ci sono stati giorni brutti e tristi e pesanti, di quelli che ti fanno porre molte domande che spaventano, figuriamoci le risposte.
C'è stata Parigi, di nuovo: vino, formaggi, calore umano e il lusso di lasciar perdere i posti turistici e godersi la città, perché tanto hai già visto le cose più importanti e l'ansia da turista perfetto l'hai lasciata a casa. E poi hai la poco vaga sensazione che ci tornerai "presto".
C'è lo sciopero del sistema ferroviario che ormai va avanti da una settimana quasi ininterrottamente, ma solo in Vallonia:

Il Paese è quindi bloccato, ma solo per metà. Un po' fa ridere, ma solo un po', soprattutto quando non hai mezzi alternativi e l'incognita è "tornerò a casa?". Magari di domenica notte, con la sveglia il giorno dopo alle 6:00.
Ci sono stati workshop intensi, prima a Namur e poi a Liegi, di quelli che quando esci hai il cervello annebbiato per la concentrazione e vaghi come uno zombie. Soprattutto se ti svegli ad un'ora indecente per questo cavolo di sciopero dei treni.
C'è quest'insonnia che non è una vera e propria insonnia: è più voglia di non andare a dormire (direi ad Ambrogio dei Ferrero Rocher). Nonostante la stanchezza ed il bisogno di riposo, per giorni di fila dormo cinque, massimo sei ore perché prima delle due non c'è verso di appoggiare la testa sul cuscino. E che fai nel frattempo? Niente di produttivo, generalmente. E tuttavia mi è proprio difficile decidere che ora basta, si dorme.

Di molti di questi fatti avevo iniziato a scrivere ma no, non ho partorito niente che valesse la pena. Però ecco, non vi preoccupate. È solo che sono successe molte cose.