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venerdì 2 dicembre 2016

Come uccidere il Bianconiglio: parte 1 (la teoria).

Ho l'impressione che in Italia aleggi indisturbato il mito che nei Paesi “più a nord” siano sempre più bravi, parlino meglio inglese e le cose funzionino meglio.
Come ampiamente 
già raccontato, la parte sull'inglese non solo non corrisponde a verità, ma nel mio caso belga (francofono, ché dillà è tutta un'altra cosa) è esattamente il contrario. L'improvvisa realizzazione che la fantomatica diffusione dell'anglofono idioma era tutta una finta ha sgretolato quella cortina dorata e scintillante che per antonomasia ricopriva i Nordici e che nascondeva i fatti oggettivi, e infatti non ci è voluto molto per trovare altri esempi.
Parliamo dei treni.
Ogni volta che mi lamento con degli italiani dell'ennesimo ritardo del treno, mi sento sempre rispondere “che vuoi che sia, ma che non ti ricordi com'è la situazione in Italia/a Roma?”. Il punto però è che questo ritardo si inserisce in un contesto per cui il sistema ferroviario è una delle peggiori piaghe di questo Paese. Ma andiamo con ordine, ché sennò è facile pensare che io stia esagerando.
Tutto cominciò ormai un anno (!!!) fa, quando ad ottobre 2015 volai a Namur un lunedì per preparare la presentazione per il colloquio per la borsa di studio (il venerdì). La mia futura advisor (o promoteur, come si dice da queste parti) mi informa un paio di giorni prima del mio arrivo che sarà costretta a venirmi a prendere in aeroporto: è previsto uno sciopero dei treni e non esiste un collegamento alternativo che sia abbastanza umano. Vabbè, sfortuna.
Passano i mesi ma il viaggio è sempre quello. A Gennaio, arriva il giorno del trasferimento: presi armi e bagagli (non troppi, ché sempre 30 kg ho a disposizione), mi ritrovo di nuovo una mail, sempre dalla promoteur, che dice che è previsto un altro sciopero e che quindi, di nuovo, verrà a prendermi in macchina. Non che mi lamenti, spostare le valigie su e giù dai mezzi non è che mi attiri particolarmente: la coincidenza però comincia a farsi sospetta.
Gennaio, una settimana dopo: G. viene a trovarmi per la prima volta, quindi decido di “andarlo a prendere” (incontrarlo, cara, si dice “incontrarlo”) a Bruxelles, anche per acquisire un po' di confidenza con una tratta che ormai conosciamo a memoria ma che allora era una novità. Arrivo in stazione a Namur e scopro che il treno che fino a quindici minuti prima sul sito delle ferrovie era dato come perfettamente in orario, è stato cancellato.
Boom. Così. Cancellato.
(Mi sono sempre chiesta, qualora il sito avesse avuto ragione fino a 15 minuti prima, dove siano poi finiti quei poveri passeggeri di un treno che un attimo prima era in orario e un attimo dopo puf!, non c'era più).
Niente di grave, il treno successivo è in pochi minuti, arriverò giusta giusta ma arriverò. A Bruxelles, arriva G. e ci apprestiamo ad aspettare una ventina di minuti il primo treno per tornare indietro a Namur. Se non che… PUF!, il treno viene improvvisamente cancellato.
Boom. Così. Cancellato.
In quella fascia oraria (nove di sera) c'è un treno ogni mezzora, quindi magicamente ci ritroviamo a dover aspettare per ~ venti minuti + mezzora = quasi un'ora il treno che ci riporterà, finalmente, a casa.
A quel punto, l'inganno era stato scoperto, e l'idea di un sistema funzionante nel suo complesso a cominciato a mostrare crepe e zone d'ombra: da quel momento, ho contato sulla punta delle dita i treni che ho preso che sono partiti e/o arrivati in orario. Non si tratta sempre di ritardi esagerati (la maggior parte delle volte comunque non sotto ai dieci minuti), ma ciò che infastidisce è l'attitudine che l'azienda ferroviaria ha nei confronti di quelli che prima o poi vorrebbero essere passeggeri di un treno: annunci dei ritardi che arrivano quando non solo il treno dovrebbe essere già arrivato al binario, ma addirittura ripartito; scarsità di informazioni quando tu, ormai, su quel treno ci sei e non puoi farci niente, ma vorresti perlomeno sapere quale sarà il tuo destino; treni cancellati da un momento all'altro a cinque minuti dalla presunta partenza.
Ogni tanto mi sembra di essere diventata una sorta di Bianconiglio... con la differenza che probabilmente lui sarebbe già morto per un attacco cardiaco da stress.
C'è stata quella volta in cui uno sciopero previsto per dei giorni ben definiti è andato avanti ad oltranza, bloccando metà del Paese (la mia, chiaramente). O quella in cui il primo treno del giorno (il primo, Santo Cielo, il primo!) da Bruxelles ha cominciato ad accumulare ritardo da appena partito, per risultare poi in un viaggio della speranza durato il doppio del tempo normale e disseminato da adrenaliniche soste in mezzo al nulla cosmico con annunci del tipo “La locomotiva ha problemi, siamo fermi per cercare di farci qualcosa, ma non sappiamo fornire previsioni su quando ripartiremo”.
O ancora quella per cui ho aspettato il treno in ritardo di mezzora una stazione sfigatissima piena di spifferi, mentre fuori c'era una tempesta di neve: in quel caso però è stata un'ottima occasione per uno studio sociale sulle strane 
abitudini vestiarie degli autoctoni, e poi eravamo talmente tanti da scaldarci a furia di respirare (tipo il bue e l'asinello).
E questo è nulla, non vi ho ancora raccontato gli episodi veramente diverten imbarazzanti: quando il Bianconiglio ha cominciato a correre.

Arriveranno.

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