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venerdì 15 settembre 2017

Scarpe da ginnastica e femminismo.

Eppure io non credevo potesse essere un'operazione così complicata.
In fondo, dovevo solo comprare un paio di scarpe da corsa.

Accade che siccome l'anno inizia per davvero a Settembre, mica a Gennaio (nonostante ciò che vogliono sempre farci credere), ci sia il solito buon proposito di muoversi un po' di più: tra l'altro esiste un centro sportivo dell'università, la cui tessera annuale costa agli studenti la bellezza di 35 euro, per cui non approfittarne sarebbe davvero un peccato.
La situazione che mi si presenta ma che non credo (ancora) sarebbe poi diventata un problema è che le scarpe da ginnastica che ho portato quando mi sono trasferita, già provate da anni di utilizzo, mi hanno abbandonata l'inverno scorso.
Tocca ricomprarle. Scarpe da ginnastica, nere, è praticamente già fatta.
Scartata l'idea di acquistarle online (preferisco provarle) e di andare da Decathlon (decisamente fuori mano), mi faccio un giro nel più grande negozio di sport di Namur. Entro, scendo al piano inferiore, cerco la parete dedicata alle scarpe da corsa da donna e appena alzo lo sguardo mi prende a momenti un attacco epilettico.

Rosa. Rosa sparato OVUNQUE. Non esiste un modello da donna che non abbia del rosa shocking: si va dalla delicata versione nera e rosa alla più spumeggiante celeste evidenziatore e verde acido. Col rosa shocking, s'intende. Sono uscita di corsa (ma senza le apposite scarpe), un po' traumatizzata.
Una cosa simile era già successa nello stesso negozio (che fa parte di una grossa catena) con il costume per la piscina: lì però è stata in parte colpa mia, perché essendo in periodo di saldi mi sono rifiutata di comprarne uno a prezzo intero, cosa che mi avrebbe permesso di rifuggire l'orrido colore. Pecunia non olet quindi non vedo perché gettarne via per delle sciocchezzuole. Che poi, in acqua, ma chi lo vede? Comunque.

Io il rosa lo detesto. Bene il viola, ancora ancora qualche sfumatura di fucsia, ma il rosa che è proprio rosa lo detesto. Detesto lui e l'associazione forzata col genere femminile che ci viene imposta dal gusto "sociale", con quella dicotomia inflessibile del blu per i maschi e il rosa per le femmine.
Anche da piccola non ho avuto la fase del rosa (non certo per motivi femministi, almeno consci), non mi è proprio mai piaciuto. Di conseguenza la sua imposizione, manifestata dal non avere scelta, mi infastidisce enormemente. Vorrei poter essere libera di scegliere, sempre e comunque, se e come manifestare il mio appartenere (e riconoscermi) al genere femminile.

È incredibile come, ad avere le antenne rizzate verso un determinato argomento, appaiano nella vita quotidiana e senza andarli particolarmente a cercare spunti di riflessione a tal proposito. Il dove, il come il quando e il chi sarebbero troppi e forse poco interessanti. Ma alla fine il succo della questione è questo: vorrei potessimo essere libere di scegliere, sempre e comunque, se e come manifestare il nostro appartenere e riconoscerci nel genere femminile.
Si, l'ho appena scritta la stessa frase, ma per me è cruciale: per spiegarvi perché, facciamo un passo indietro. Perché lo squilibrio è da entrambe le parti.

Essendo una giovine (?) donna (?) ancora nella fase di autodeterminazione nel mondo, la questione femminista è centrale nel mio approcciarmi alle cose. Già "femminista" è un termine che poco apprezzo, nel suo contrapporsi a "maschilista": se il maschilismo ritiene infatti l'uomo superiore alla donna, il femminismo dovrebbe porsi come obiettivo quello di rendere agli occhi della società uomini e donne come pari. Non uguali, perché siamo diversi in mille e uno modi, ma comunque e sempre pari. Però per semplicità lasciate che io continui ad usare femminista e femminismo, avendo questi significati in mente.
All'inizio, dovendo smuovere un sistema rigido ed immutabile, il femminismo ha dovuto tendere a degli estremismi. Si bruciavano i reggiseni, non ci si depilava e si rifiutava la tipica immagine della donna quale angelo del focolare, devota alla gestione della casa e alla crescita dei figli. Mi sembra normale: più forte è il vincolo, più violento deve essere il distaccarsene.*
Però poi i tempi sono cambiati, le cose si sono evolute: c'è ancora molta strada da fare, ovviamente, lunga è la via per la parità, ma la situazione è andata migliorando. Mi sembra però che il femminismo, e più certamente l'impressione che ne ha la società, non siano evoluti di pari passo.
C'è ancora quell'idea che una femminista vvvera, una donna indipendente debba ricusare qualunque ruolo, stile e convenzione tradizionalmente associati alle donne. E qui ritorna la frase sull'essere libere di scegliere, sempre e comunque.
Per me questo tipo di scelta non è concepibile e penso sentirei di star buttando la mia vita, ma se una donna nel pieno delle sue capacità mentali e in totale indipendenza (quindi non perché è ciò che ci si aspetta lei faccia, non perché è il suo ruolo predestinato) decidesse di restare a casa e non lavorare per dedicarsi al marito (o alla moglie!) e ai figli, chi avrebbe il diritto di giudicarla?
Se una donna che lavora, che ne so, nel mondo della finanza decidesse di vestirsi con abiti a fiori (appropriati, ma a fiori) rinunciando a quella pratica di mascolinizzazione che in certi ambienti è ormai la norma, perché dovrebbe essere intaccato il suo valore professionale agli occhi degli altri?
Etc, etc, etc. Mi si permetta di lasciare questa parte un po' monca, avendo dato giusto l'idea, perché avevo continuato a scrivere ma davvero non avrei finito più.

Quindi insomma, ero lì che pensavo che quelle scarpe rosa sarebbero dovute sparire dalla faccia della Terra, quando ho realizzato di aver scritto "incoerenza" dappertutto. Io il rosa lo detesto, ma se a qualcuna piace perché dovrebbe rinunciarci in nome della bandiera femminista? Perché dovremmo auto-imporci dei limiti in nome dello sforzo di eliminare quelli che ci vengono appioppati tutti i giorni da sempre?

Allora evviva le mensole di scarpe da corsa in tutte le declinazioni del rosa.
Ma che se ne trovino di rosse, verdi e blu, con Hello Kitty ma anche con i Pokemon, col fiocchetto ma anche senza nulla.

E per carità del Cielo, a me servono semplicemente nere.



PS: Secoli di mentalità non si cancellano in pochi decenni: il maschilismo si nasconde subdolamente anche nella lingua, e in tradizioni che ci sembrano assolutamente innocue. Due esempi su cui non mi dilungherò (ché altrimenti, più che un post diventa un libro), ma approfondirò volentieri qualora interessasse: espressioni come "quella è una donna con le palle" e il lancio del bouquet della sposa ai matrimoni.

PPS: Esistono certamente migliaia di paia di scarpe da corsa da donna "normali". Mi ha fatto però riflettere come non siano immediatamente accessibili.

* Una saliente parentesi. Consiglio spassionatamente la lettura di "Cara Ijeawele: Quindici consigli per crescere una bambina femminista", di Chimamanda Ngozi Adichie (https://www.amazon.it/Cara-Ijeawele-Quindici-femminista-Frontiere-ebook/dp/B06XDLRXQB). Affronta in modo pesato e serio la questione femminista, ma senza dogmi e in modo scorrevole. Un passo che ho evidenziato e che secondo me è un ottimo strumento per analizzare gesti e parole nella vita di tutti i giorni recita:
Spiegale che se critichi una certa cosa X nelle donne, ma non critichi la stessa cosa X negli uomini, allora non hai un problema con quella cosa, hai un problema con le donne.

Provate come esercizio a pensare ad atteggiamenti mal visti se adottati da una donna ma assolutamente normali se adottati da un uomo. Vi accorgerete che sarà come l'inizio di una valanga, una volta trovato il primo ve ne verranno in mente a migliaia: quanto è intrinseco in noi il concetto della donna quale presenza eterea e delicata?
Tra l'altro compie oggi 40 anni, ma si tratta solo di una fortuitissima coincidenza scoperta assolutamente per caso.


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