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Namur, Belgium
Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

martedì 6 marzo 2018

Caffè.

Ho smesso di bere caffè.

Ho smesso di bere caffè quando sono da sola.

Il mio rapporto col caffè è sempre andato un po' a fasi: non ne ho bevuto fino ai 17 anni. Della serie che non mi piaceva il tiramisù per via del gusto del caffè. Poi siamo andati in gita con la scuola, qualcuno ha avuto la brillante idea di vedere chi sarebbe riuscito a non dormire per più tempo: chissà perché sembrava così importante non dormire, soprattutto considerando che non è che il tempo speso svegli fosse poi di gran qualità, una volta che il sonno cominciava a farsi largo e a spegnere i cervelli.
Durante quella mattinata ne presi quattro, di caffè. È cominciata così.

Dall'università in poi le mie giornate sono sempre cominciate con almeno un caffè doppio: macchinetta da due se da sola, mezza da quattro se Madre era nei paraggi. Caffè post pranzo immancabile al Bar Rosso dell'università: anni e anni di caffè lì e quasi mai non bruciato. Era però una tradizione (oltre che comodità e spilorceria, quello dell'altro bar costava di più), e poi ad un certo punto ci hanno fregato quando hanno cominciato a preparare la cremina, e allora sotto poteva esserci anche acqua sporca. Ci hanno fidelizzato con la cremina, non c'è stato più un punto di ritorno.
Che nel pomeriggio ci fossero lezioni o sessioni di studio, c'era il caffè delle quattro (circa).
Durante la sessione d'esami, c'era il caffè delle qualunque: in giornate particolarmente intense arrivavo tranquillamente a sei/sette. Ringraziamo la brachicardia di base, o non sarei forse qui a scriverne. Ci serviva davvero il caffè? Forse no, ma era un buon modo per prendersi una pausa senza sentirsi in colpa, aggiornarsi sulla vita tra un teorema e l'altro e costruire cose. Su alcuni di quei caffè ci abbiamo eretto torri che poi sono diventati castelli, su altri non restano che pallidi tentativi in muratura ma, ehi!, nessuno nasce carpentiere.

Poi Namur. Uno dei primi acquisti è stata ovviamente la Moka, per la mattina. E quel profumo di caffè vero dava sempre l'idea di essere un po' più vicina a casa (cliché, che vi devo dire).
Il caffè disponibile all'università fa del suo meglio, ma non ha niente a che vedere col sapore che ti aspetteresti: gli ho dato qualche chance, ma dopo una tazza particolarmente orrida ho lasciato perdere. Addio caffè durante la giornata.
E poi non so bene cos'è successo. Poco a poco una macchinetta intera è sembrata troppo. Forse una mattina ho finito il caffè, e la mattina dopo non è sembrato un dramma non averne. Forse una volta il mio stomaco ha chiesto una pausa, forse ho cominciato a scordarmi il caffè lasciato a raffreddare troppe volte di seguito.
E ho scoperto di non averne fisicamente bisogno: sopravvivo lo stesso, sono sveglia lo stesso. Sarà che forse non ho più così bisogno di sentirmi un po' più vicina a casa. E poi, oh, adesso quando ne prendo un po' mi fa davvero effetto*.

Ora il caffè è per occasioni speciali.
È per i weekend con G., con le colazioni a letto e gli esperimenti in cucina.
È per quando sono a casa dai miei, quando la mattina trovo la macchinetta pronta per esser messa sul fornello preparata amorevolmente da Madre. Che poi ne prende sempre un goccio.
È per quando passo a trovare le mie sorelle e cognati e nipoti, qualunque sia il Paese in cui questo avviene.
È per quando torno all'università a Roma a lavorare, e che pranzo sarebbe senza caffè? (Il bar è lo stesso, i baristi no, il bruciato è rimasto.)
È per quando recupero il tempo con gli amici in Italia, dopo una lauta mangiata o prima di uscire la sera, ché l'età avanza e senza caffè a mezzanotte uno ha voglia di fare le nanne. E quei caffè non hanno perso l'aggiornarsi sulla vita, il riaffermare che siamo qui, ancora, aspetta che aggiungiamo un altro piano alla torre est.

Ora il caffè è per occasioni speciali, e non vedo l'ora di sentirne il gorgoglio.




* Si annoverano nella lista di occasioni con aggiunta di caffeina anche quelle rare volte in cui dormo una manciata di ore.

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