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Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

mercoledì 9 marzo 2016

Cambiare la base.

Disclaimer: ciò che segue è un post metafora.
I post metafora sono uno dei motivi per cui, un paio di anni fa, il blog non era più cosa (se quest'alta espressione italiana(?) non vi dice nulla, vi avevo fatto un riassunto della vita del blog qui): se non pubblicavo flussi di coscienza impenetrabili, c'erano i post metafora.
Cos'è un post metafora? Nella pratica, lo capirete leggendo. Nella teoria, è la più diretta descrizione di come funziona il mio cervello nell'osservare e analizzare il mondo: di per se sarebbe quindi un perfetto strumento per questo blog, ma il troppo stroppia in tutti i campi. Limiterò i post metafora, promesso.

Il tutto parte dal mio fondotinta.

...

UOMO!, Uomo, uomo... stai con noi. Non chiudere la finestra del tuo browser, non premere "indietro" sul tuo smartphone. Ti prometto che le teoria sarà poca, facile e magari anche interessante.

Dicevo.

Del fondotinta - qualora una/uno ne abbia bisogno, eh!, non vi sto dicendo di andare a spatacciarvi roba in faccia per forza - vanno presi in considerazione due aspetti fondamentali: il colore e il tipo.
Sul colore potrei scrivere papiri e papiri, ma mi limiterò a dire che deve essere uguale a quello della propria pelle: non facciamo scherzi. Non serve per far diventare la pelle del colore che avreste sempre voluto (o a dargliene uno, come sarebbe bello nel mio caso), ma per dare l'illusione di averla uniforme e immacolata. Assolutamente no quindi ad un fondotinta più scuro, ché non siete mica Snooki di Jersey Shore*

e vade retro ai fondotinta più chiari, è passato il tempo in cui la pelle diafana era sinonimo di alto rango e la si cercava a tutti i costi.
Unica eccezione concessa è se si è davvero, davvero, davvero chiari: può succedere che il colore esattamente uguale al viso generi reazioni della serie ma sei malata, ma quanto sei malata (succede perché si tolgono i rossori, come è giusto che faccia il fondotinta, e quindi quella sensazione di un minimo di vita che si emanava). In quel caso concepisco giusto un tono più scuro, non facciamo scherzi (e due!).
La texture è una faccenda un po' più complicata, perché sono tanti i fattori da considerare: tipo di pelle (secca come il deserto/brufolosa come la schiena di un rospo/un po' e un po' che non lo sa manco lei/normale che un po' dovreste vergognarvi se avete la fortuna di averla così), tipo di risultato che si vuole ottenere (quanto coprente? Completamente opaco o luminoso come una palla da discoteca? Una buona via di mezzo?), le condizioni atmosferiche esterne.

Le condizioni atmosferiche esterne.

Quando mi sono trasferita qui, sapevo che avrei dovuto cambiare fondotinta: non scenderò nei dettagli - anche perché c'è quel ragazzo lì in fondo che sta per vomitare - ma il (tanto) freddo e il (costante) vento incidono al punto da richiedere un cambiamento.
Quindi, come ora ormai avrete capito meglio di me (possiamo dirlo tutti in coro, se volete) ho cambiato il tipo, ma ho mantenuto il colore.

[Pronti per la parte metafora del post metafora?]

È quello che dovrebbe succedere quando ci si immerge in nuovo mondo, no? È inutile entrare a gamba tesa con il proprio bagaglio e le proprie convinzioni e pretendere che funzioni tutto come prima. Non può funzionare anche solo semplicemente perché ci sono dei fattori (vento e freddo in un caso, apparato culturale dall'altro) che non solo sfuggono al nostro controllo, ma non si accorgono neanche della nostra presenza. D'altronde non può nemmeno voler dire che uno deve scordarsi chi è e diventare qualcun altro per poter vivere altrove: dove lo mettiamo il nostro Io, dove il nostro essere? Quel bagaglio e quelle convinzioni sono il nostro passato, su cui si deve basare il nostro futuro, sia che questo significhi consolidare certi aspetti sia prendere le distanze da altri.
Allora che si fa?
Allora si mantiene il colore, ovvero tutto ciò che ci definisce come persona, che se fosse diverso stonerebbe su di noi: gli affetti, gli ideali, l'educazione, la cultura popolare (il cibo! la cultura del cibo!).
Allora si cambia la texture: si impara e ci si abitua alle condizioni esterne e si capisce cosa cambiare per adattarsi. Immagino che una gran fetta di cosa cambiare sia riconducibile alle aspettative: nei confronti degli altri come singoli, nei confronti degli altri come comunità. Qualcuno direbbe che è proprio il concetto di aspettativa ad essere sbagliato e mi troverei d'accordo, ma tra la teoria e la pratica c'è sempre un po' di differenza: quindi per il momento mi accontento di ridimensionarle, se non di eliminarle del tutto.

Capire cos'è colore e cosa texture non è sempre facile. Si va avanti a tentativi, come d'altronde coi fondotinta: solo che a sbagliare forse si perde qualcosa in più di qualche euro.
E mentre scrivevo questo post, mi è venuta in mente un'altra analogia che rende tutta questa metafora ancora più calzante. Non sempre la texture più adatta al momento è quella preferita in assoluto: incaponirsi però serve solo a non ottenere l'effetto desiderato.


[Sopravvissuti al post metafora?]


* Pur essendo fortunatamente fuori dal ciclone della televisione generalista e qualunquista - quanti punti spocchiosità ho appena conquistato? - ci sono dei feticci che, se e quando capita (ora molto meno, non avendo televisione), attirano morbosamente la mia attenzione. Tra questi, ci sono i programmi volgari, casca-braccia e abbasso-morale tipo Jersey Shore. Trovo il loro rivoluzionare la scala delle priorità affascinante. Quasi.

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