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giovedì 3 novembre 2016

Le strane parole che imparo: v. 1.0.

Lo studio del francese prosegue: comprendere una conversazione non è più un'impresa dal sapore apocalittico, la comprensione scritta procede alla grande, la scrittura si è avviata. Sul parlato, siamo ancora a livello gibbone, ma è sufficiente per la sopravvivenza ed è profondamente influenzato da problemi psicologici miei che vabbé, che ve lo dico a fa'.

Al di là di quello che è il normale procedere dell'apprendimento dovuto al corso vero e proprio, lo sviluppo del vocabolario ogni tanto prende direzioni molto strane, come non manca mai di notare anche quella santa di E.A., mia compagna d'ufficio e prima maestra del francese "vero", quello che si parla al di fuori dei libri. Nel corso di questi mesi, la vita di tutti i giorni ha fatto sì che io imparassi parole strane ma utili(?) e/o interessanti(?!).
Innanzitutto, è fondamentale per ogni giovane donna essere umano che speri di diventare anche vecchio sapere cosa sono i féculents, ovvero i temutissimi carboidrati (la traduzione non è letterale, ma è il termine non troppo tecnico utilizzato di solito): le malelingue potrebbero dire che un loro eccesso è ciò che mi ha portata a richiedere che fossero sostituite le lattes du lit (doghe del letto), ma la verità è che erano già rotte quando mi sono trasferita (e per la cronaca, ancora sono rotte). Se lo sono, è perché qualcuno non sta facendo al meglio il proprio boulot: scoprire che è quasi un sinonimo di travail (lavoro) mi ha sorpresa molto, e se vi fosse stato anche un pizzico di ammirazione avrei potuto esclamare "la vache!" (si, è esattamente la mucca. Ma in fondo noi in situazioni simili non solo la tiriamo in ballo ma la insultiamo pure. Persino Spock, in Rotta verso la Terra, si lascia andare ad un umanissimo "Porca vacca!").

Sorprendente è stato inoltre scoprire tutto il cerimoniale di iniziazione dei bleus (le matricole)*: messa a parte di alcuni dei canti tipici associati all'occasione, ho imparato anche cos'è la guele (bocca, ma intesa di animale, e quindi un po' dispregiativa in caso sia utilizzata riferendosi a uomini), visto che 'sti poracci vanno in giro per le strade in posizioni strane a cantare
Bleu, bleu
Je suis bleu,
Je ferme ma guele
et ca ira mieux.
 (Matricola, matricola, sono una matricola, chiudo la boccaccia "che è meglio")
Di folklore si è parlato anche in occasione di Riri, Fifi, Loulou (leggi "Lulù"), che poi si sono scoperti essere i nostri Qui, Quo e Qua: lasciando perdere nazionalismi inutili, ma quanto è più simpatico dire "Qui, Quo e Qua"?

Parlavamo di cibo (succede spesso in questo ufficio) ed è saltato fuori che potrei sentir dire "J'ai des biscottos" (o biscoto, biscoteaux, biscotos, biscotteau, biscotteaux, sono ancora un po' confusi a riguardo) da qualche palestrato che si stia vantando dei suoi bicipiti.
Biscotto. Bicipiti.
Non me ne capacito (e non siamo riuscite a trovare un'etimologia certa).

Per finire, la più recente. Il processo maieutico è stato decisamente tortuoso (e forse è anche più interessante della parola in sé): rivendicazione del diritto a cominciare ad ascoltare carole di Natale --> addobbi natalizi in ufficio --> addobbi a casa --> otto dicembre --> Immacolata Concezione --> al poro Giuseppe non l'hanno raccontata giusta. E niente, alla fine ho scoperto che stérilet è la spirale (il dispositivo anticoncezionale). Non so bene cosa farci con quest'informazione al momento, ma il commento è stato "mi raccomando attenzione, o rischi di dare a qualcuno della spirale (stérilet) invece dello sterile (stérile)".
Al che sorge spontanea una domanda: sembro forse una dispensatrice di offese a tema riproduttivo?





* Sono mesi che mi dico che devo cominciare a scrivere i post relativi alle differenze tra i sistemi scolastici e universitari. Prima o poi lo farò, e la storia dei bleus ne merita uno a sé. Perché questi davvero non stanno proprio benissimo...

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