Chi?

La mia foto
Namur, Belgium
Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

mercoledì 24 maggio 2017

Un post (letteralmente) pieno di comfort.

Comfort zone: quell'insieme di luoghi, persone e situazioni in cui ci sentiamo perfettamente a nostro agio. Può essere habitat naturale, rifugio o gabbia: è facile limitarsi a fare ciò di cui si è sicuri, ed è altrettanto facile precludersi delle esperienze o delle opportunità per paura di affrontare l'ignoto o il temuto. Si rischia allora di restare lì, nel proprio orticello, quando magari dall'altra parte c'è un intero mondo e attraversare la staccionata non sarebbe poi così difficile: se ci si provasse si scoprirebbe che a volte c'è addirittura un comodissimo cancello e non si deve manco fare la fatica di saltare a mo' di Olio Cuore.

Dicono che "La magia comincia al di là della tua comfort zone", ma non so se sia proprio sempre così; se da un lato è vero che per fare molte cose bellissime nella vita bisogna uscirne e affrontare un iniziale disagio, dall'altro l'idea che uno debba necessariamente discostarsi dalla propria quotidianità (fisica o mentale che sia) per trovare la "vita vera" è un po' limitata: la maggior parte delle volte è probabilmente così, ma mano a mano che divento più vecch saggia la lista degli assoluti con cui mi trovo d'accordo si riduce sempre più.

A questa cosa della comfort zone pensavo ieri, mentre alla fine di una giornata tranquilla ma lunga mi sono fatta forza e sono uscita di casa per andare in un posto in cui sapevo avrei dovuto parlare molto francese: di per sé non sarebbe un problema, non fosse che la mia capacità linguistica è inversamente proporzionale alla mia stanchezza. Questo implica che se la mattina sembro quasi un essere umano con qualche mese di francese alle spalle, a fine giornata mi trasformo in un gibbone sgrammaticato e titubante. E no, se ve lo steste chiedendo, non è una cosa simpatica.
In un momento di lucidità (o di bipolarismo, dipende dai punti di vista), per risolvere la situazione ho lanciato delle noccioline fuori dalla porta, il gibbone si è precipitato fuori di casa e la parte razionale ha chiuso la porta. E quindi niente, siamo andati tutti.

Personalità zoologiche multiple a parte, l'episodio mi ha fatto ruzzolare giù per la strada della memoria e, diamine!, sono anni che esco dalla comfort zone. In modi più o meno ovvi, più o meno conclamati, più o meno dichiarati, ma sono sempre lì, a cercare di spostare il limite un po' più in là.
Quello su cui i fautori della magia che comincia bla bla bla non si soffermano, però, è cosa succede dopo: magari sbaglio io, eh!, ma ho l'impressione che si parta dal presupposto che una volta messo un piede fuori, automaticamente si ridisegnino i confini e la comfort zone si adatti.
Mica vero.
Spesso succede, ed è una sensazione fantastica: si superano dei limiti, immaginari o reali che siano, e ci si rende conto che lo si può fare, che ciò che pensavamo impossibile per noi non lo è, e allora via, si apre un nuovo pezzo di mondo. Un po' come quando la sottoscritta, a cui in genere non piace il pesce, ha assaggiato con timore per la prima volta il sushi: amore a primo boccone, datemene ancora e per sempre, sono disposta a morirne (ok, l'esempio non è dei più edificanti ma rende l'idea).
Altre volte invece no. Sei lì, di fronte ad un certo tipo di esperienza e con passo deciso ti incammini, e per un po' la comfort zone sembra adattarsi; poi però ti accorgi che si, il limite lo stai spostando, ma funziona come un elastico: ti lascia andare per un po', ma tirandoti sempre indietro e tornando al suo posto appena lasci andare la presa. E allora ogni volta che vai in quella direzione è un po' come se fosse la prima, sembra di non fare progressi e di non cambiare lo stato delle cose. È frustrante, mette a disagio (per definizione), e dopo qualche volte trasmette un senso di sconfitta e di ineluttabilità, perché sai che indipendentemente dall'impegno che ci metti, quel dannato elastico tornerà sempre indietro.
Forse vuol dire che semplicemente non fa per noi: "la magia comincia al di là della tua comfort zone" è tremendamente semplicistico, perché non è detto che una cosa per cui ci sentiamo inizialmente a disagio una volta vissuta debba necessariamente trasformarsi in qualcosa di piacevole. È chiaramente fuori dalla mia comfort zone l'andare in giro nuda per strada, ma non è che se lo facessi una volta, allora andrebbe poi sempre bene: sarei solo ancora più sicura che non è una cosa adatta a me (e alla decenza pubblica e al codice penale o civile, se è per questo).
O forse è solo dovuto al fatto che affrontiamo situazioni a cui siamo per nostra natura più sensibili: le nostre difese sono più tenaci perché ne abbiamo più timore. Se non vi è niente di intrinsecamente negativo (come può esserlo l'andare in giro nuda per strada), forse vale la pena sforzarsi ancora un po', incamminarsi ancora una volta col passo un po' più sicuro della precedente, testare ancora la resistenza. Arriverà poi un momento in cui si riuscirà o ci si arrenderà, è probabile che la questione si riduca ad un discorso di testardaggine e sforzo mentale: forse vale la pena provare in ogni caso, può essere che il processo in sé sia una lezione sufficiente.
In fondo, da portatrice sana di capelli ingombranti ho sperimentato una grande verità: nessun elastico è per sempre.

Nessun commento:

Posta un commento