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venerdì 16 settembre 2016

British mon amour!

[In diretta da sotto la Manica: che emozione!]

Poco fa ero nella lounge d'attesa dell'Eurostar, aspettando che iniziassero le operazioni di imbarco. L'ultima volta che sono andata in Inghilterra è stato a Maggio, quindi sono stata un po' “colta di sorpresa” quando tutto ad un tratto mi sono ritrovata immersa in una delle lingue più belle del mondo (IMHO, of course): il British. Così musicale, così posh, così comprensibile!
Proprio poco tempo fa, parlando di accenti, ricordavo come alla fine del mio periodo londinese non solo il mio inglese era al suo punto di massimo splendore, ma da una pronuncia corretta ma senza accento aveva virato con forza verso il British, inconsapevolmente. Che gioia, una volta che me ne sono accorta!
Il tutto perso in poco tempo, ovviamente. E con quello anche molto vocabolario, che in caso di necessità e con sforzo inaudito può essere recuperato, ma mancando completamente di quella fluidità inconsapevole (e due) tipica di una buona conoscenza della lingua.
È inevitabile, quando non ci si esercita con una certa costanza: non solo, è anche importante avere la possibilità di parlare con qualcuno che parli la lingua fluentemente, magari madrelingua. Perché se è vero che parlo inglese ogni giorno da quando mi sono trasferita in Belgio, è anche vero che nella vita di tutti i giorni la lingua è un mezzo, non è uno scopo. E se è un mezzo, sarebbe inutile ricercare nella propria mente e nei propri muscoli facciali la memoria di quell'accento, se poi questo non viene compreso, richiedendo una ripetizione della frase con una pronuncia più mainstream. E se è un mezzo, sarebbe inutile utilizzare verbi meno comuni ma più corretti, se poi bisogna spiegarsi di nuovo, magari usando un polivalente “to do”.
Queste riflessioni sulla lontananza dall'inglese che fu mi portano a pensare al francese che sarà: è ancora presto, ovviamente, davvero troppo presto per saperlo, ma ho come la sensazione che non mi si adatterà come un guanto tanto quanto fece l'inglese.
Soprattutto, non riesco ad immaginare la versione di me francofona.
Sono assolutamente convinta che l'immagine di noi che il mondo percepisce cambi leggermente a seconda della lingua che parliamo, posto che questa sia parlata correttamente e senza accetto nazionale. Così come ad esempio la postura, l'abbigliamento e il trucco, la lingua è uno “strato” di cui ci ricopriamo e che determina sfumature che saranno uno dei tanti dettagli che costituiscono il quadro generale. Sto imparando il francese, e l'obiettivo è impararlo per bene: perché mi serve per vivere, perché sarebbe stupido non farlo avendo la possibilità di viverci immersa, perché è una sfida. Lo sto imparando, ma non sono sicura mi starà bene. Come quando si compra un paio di scarpe online.

Ad un certo punto ho pensato stupidamente che non voglio perdere la versione anglofona, che è un po' come pensare che non voglio perdere i jeans dal momento che oggi indosso degli altri pantaloni: i jeans non andranno da nessuna parte ma aspetteranno pazientemente nell'armadio, al massimo saranno nella sacca dei vestiti da lavare. Ci saranno periodi in cui li indosserò di più, altri in cui mi li vorrò meno, ma loro, da soli, non si sposteranno di un centimetro da dove li ho lasciati.*


Quindi oggi ho capito che imparare nuove lingue è come fare shopping: chissà che questa nuova visione non funzioni da incentivo...




* Ironicamente, i jeans sono sempre jeans, che sia italiano, inglese o francese.
E anche lo shopping.

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