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giovedì 8 settembre 2016

Il segreto per la relazione a distanza perfetta.

La data di oggi, oltre che per quel dettagliuccio dell'armistizio del '43, rientra nei miei annali perché segna l'inizio della fase a distanza con G. Cioè, capiamoci, non è che prima ci si vedesse molto: tra due mesi filati negli Stati Uniti e viaggi vari in Inghilterra, non è che stesse a casa molto spesso comunque. Però da due anni la lontananza è ufficiale, con buona pace (...) per tutti.
Due anni.
Due anni e siamo ancora qui, cioè lì, cioè un po' qui e un po' lì, però insomma, c'è ancora un siamo, ecco.

Volete sapere il segreto per la relazione a distanza perfetta?

(Suspence)


(Rullo di tamburi)


Non esiste. Non esiste e mi sembra anche logico che sia così: ciascuno di noi è un'entità a parte, diversa da chiunque altro, che si relaziona con un'altra entità, anch'essa diversa da chiunque altro. E ogni entità quando è in coppia si relaziona in maniera diversa, sia dagli altri che da se stessa, perché ha a che fare con qualcun altro. Ogni coppia è un caso a sé stante, le dinamiche sono uniche ed è bello che sia così. È poi anche il motivo per cui secondo me bisogna essere sempre molto cauti nel dare consigli riguardo alle questioni di coppia, perché quel che può valere per me può essere deleterio per qualcuno altro. Ci sono certamente atteggiamenti che fanno più bene che male, ma sono talmente generici e iper citati da essere diventati dei cliché (Comunicazione! Fiducia! Tempo di qualità!).
Quindi mi spiace, non c'è una formula magica o un ricettario per far funzionare le cose in una relazione a distanza, ché se ci fosse ci scriverei un libro e guadagnerei una montagna di soldi e non la spargerei di certo al mondo così, gratis!


"Ma se non c'è un super segreto e non vuoi dare consigli, perché hai intitolato così il post?"
Per farvi cliccare sul link, per cos'altro sennò?!


Tutta questa premessa è oltremodo doverosa per sottolineare quanto tutto ciò che si può dire riguardo alle relazioni a distanza sia totalmente, inevitabilmente e fortunatamente relativo: l'esperienza di due persone è unica, così come sono uniche le persone che gli stanno attorno e le dinamiche che intercorrono tra queste. Lungi da me asserire allora che ciò che scrivo sia applicabile a chiunque, che chiunque la pensi allo stesso modo (chissà, magari una cosa che a me dà sui nervi ad altri può essere gradita) e soprattutto che dobbiate essere d'accordo. Anche perché come diceva Socrate, Io so di non sape"Si vabbé, ok, chiaro. Ma di che stiamo parlando?! Giungi ad un punto, diamine!"

Parliamo di come trattare l'Homo distantiarelationanticus. [ci stavo arrivando, comunque...]


L'homo distantiarelationanticus (d'ora in poi, HD) è una specie che si è evoluta soprattutto in era moderna, e si caratterizza per la sua testardaggine nel mantenere una relazione sentimentale con un altro esemplare della stessa specie ubicato ad una certa distanza (o perlomeno, l'homo è convinto che l'altro sia della stessa specie; a volte capita non lo sia ma allora poi si creano casini ed è tutta un'altra storia). Questa distanza è tale per cui non è possibile conciliare l'incontrarsi frequentemente con la propria quotidianità, soprattutto per quel piccolo problema che le ore sono sempre 24 in un giorno. Ah, e che i trasporti costano un accidente.
A causa di questa sua condizione, l'HD è solitamente circondato nel suo ambiente naturale da esemplari di Homo normorelationanticus (quelli che si relazionano con altri normalmente, qualunque cosa questo significhi) e di Homo nonrelationanticus (i single): pur appartenendo a specie diverse, tutte queste entità convivono tranquillamente in uno stesso spazio interagendo tra loro. Interagisci di qua, interagisci di là, è facile stilare una raccolta delle situazioni più tipiche che capitano all'HD. O meglio, quelle che più tipicamente sono capitate a me (ricordate che tutto è relativo e personale?).

"Sai, io e lui/lei siamo molto impegnati, non ci vediamo da due giorni."
"Cioè no sai, riusciamo a vederci tranquillamente tutta la settimana, ma non possiamo dormire insieme. E dormire insieme è importante, è un momento così intimo!"
[n.d.a. parlo proprio del dormire quale attività in cui si chiudono gli occhi e si entra in fase R.E.M.]
Ecco. Allora. Qui serve una piccola premessa: un grosso rischio di quando si è in una situazione "difficile" è quello di considerare irrilevante e sciocco qualunque altra situazione la cui difficoltà, secondo un qualche criterio non meglio specificato, sia inferiore. Questo è sbagliato, perché non è giusto minimizzare i problemi degli altri per il semplice fatto che li consideriamo "meno problematici" dei nostri: la vita non è una gara a chi sta peggio ed è sempre bene esserci per qualcuno che ha bisogno di una parola, di un consiglio, o anche solo di sfogarsi. [Fine premessa]
Però. Però un po' di sensibilità dovrebbe stare anche dall'altra parte, nel capire la condizione di distantiarelationanticus della persona con cui ci si sfoga e nel pensare due volte se sia il caso di proporre la questione.
Non vi vedete da due giorni? Eh, temo proprio che la vostra relazione sia compromessa da una così lunga separazione.
Non potete dormire insieme per una settimana? A parte che è probabile che l'homo sia ancora più sensibile al concetto del dormire nello stesso letto quale occasione in cui si mantiene un legame, ma non mi lamenterei, considerando la frequenza con cui potete... che ne so, incontrarvi, abbracciarvi, guardarvi negli occhi. Perché via Skype (o simili) non ci si può guardare negli occhi: lo si potrebbe logicamente dedurre immediatamente, però la prima volta che si realizza ci si resta davvero un po' male. Quindi ecco, magari se riuscite a vedervi per tutta la settimana, forse è una cosa di cui potete evitare di lamentarvi con un HD.

"Eh, ma per voi è facile. Ai miei tempi non c'era [inserire nome di tecnologia]"
Questa è, ovviamente, la preferita delle precedenti generazioni. "Ai miei tempi c'era solo il telefono, o la lettera". Bene, sono contentissima che ce l'abbiate fatta lo stesso, davvero (anche io, in fondo, sono il risultato di uno di questi successi).
Ma cosa ci dovrei fare io con una frase del genere?
È di consolazione? Beh, si, ma ci sono tante altre cose che rendono la mia vita migliore rispetto a 50, 60, 70 anni fa. La sicurezza dell'acqua corrente in casa e il frigorifero, per esempio. Capisco però l'intento lodevole e non mi sento di recriminare poi troppo, ma insomma, non è che sappia farci granché, con questa frase.
Vuole minimizzare le difficoltà? La premessa del punto precedente vale in entrambi i sensi.

"Ogni quanto vi vedete? Due settimane? Ma siete fortunati!"
Così come non si dovrebbe mai minimizzare situazioni che appaiono meno "gravi" della propria, non bisogna mai scordarsi del fatto che esistono persone che ne vivono di ben più intense: penso a chi vive si a distanza, ma a decine di migliaia di chilometri, o magari in continenti diversi. Ci si vede poche volte all'anno, si spende un patrimonio e si combatte ogni giorno con una differenza di fuso orario notevole (abbiamo passato anche quella fase, ed è estremamente più difficile).
Quindi si, siamo fortunati nel poterci vedere in media ogni due settimane, e ci prendiamo cura di questa possibilità al massimo delle nostre capacità.
Ma (era ovvio ci fosse un ma).
Innanzitutto, abbiamo trascorso un anno in cui, se andava bene, ci si vedeva una volta al mese: quindi è molto bello che ora la frequenza sia ragguardevole, ma non è sempre stato così. In secondo luogo, niente è gratis: è un investimento di soldi, di tempo e di energie, che si affronta con la giuoia nel cuore (volutamente scritto giuoia) e un bel sorriso stampato in faccia, ma è comunque un investimento. Soprattutto quando sai che da casa a casa ci vogliono sette ore e mezza, se va bene, quando i costi ti permettono di evitare di viaggiare di notte per 15 ore. Tutto questo per un weekend, s'intende. Quindi si, chiaramente ci sono delle condizioni favorevoli, ma non userei esattamente il termine "fortunati".

"Io non potrei mai fare una cosa del genere, è impossibile."
Questo è un punto delicato. Succedeva particolarmente all'inizio, quando la situazione era nuova sia per noi che per le persone intorno a noi. Ora, non voglio addentrarmi troppo nei dettagli e in profondità su quelle che erano le mie condizioni psicologiche a quei tempi, però credo che una metafora sarà efficace.
Immaginate di essere alla base di una montagna mai esplorata, pronti per iniziare la scalata; non avete mai scalato una montagna in vita vostra, ma vi tocca e vi siete preparati al meglio di come avete potuto: avete ascoltato storie di altri che l'hanno fatto (anche se non proprio su quella montagna), avete sistemato tutto l'equipaggiamento che ritenevate necessario (sperando sia sufficiente), vi siete preparati psicologicamente ad affrontare e superare tutto, ma anche al peggio. Proprio quel giorno è nuvoloso, quindi già a pochi metri di altezza la visibilità è scarsa, non si vede il percorso, non si vede la cima: potrebbe esserci una tormenta di neve o un sole splendente, non lo potete sapere. Decisi a non farvi scoraggiare, vi apprestate a percorrere il cammino e salutate le persone che sono venute a darvi supporto: vi girate e li vedete guardare verso quella punta che non si vede, preoccupati come se toccasse a loro. Guardandovi increduli e spaventati vi dicono "io non potrei mai, è un'impresa impossibile". Non molto incoraggiante, eh?
Le prime volte uno accusa il colpo, poi si forma il callo e dopo un po' non ci si pensa più. Anche perché, come parrebbe, non è proprio così impossibile.
Doveste incontrare un altro HD, magari evitate di essere così drastici, anche perché non sapete necessariamente quali sono le condizioni psicologiche della persona che avreste di fronte: potreste trovarvi nel mezzo di un crollo emotivo e non è mai una cosa simpatica, ecco. Sbandierare l'impossibilità non fa bene, d'altronde neanche cercare di convincere che sarà una passeggiata con i minipony è salutare (e poi è poco credibile), quindi trovate una via di mezzo. Una volta A. mi disse: "è difficile, ma se dovessi scommettere su qualcuno, lo farei su voi due". Mi piacque molto.


Per onestà intellettuale, è giusto precisare che tutte queste frasi o situazioni vanno inserite in un contesto di persone che ci hanno supportato e continuano a supportarci (e magari anche sopportarci), che credono davvero che possiamo affrontare il tutto (perché l'avventura è appena cominciata, mica finirà a breve!). Lungi da me scrivere che siamo soli contro il resto del mondo. E poi basta, ché ho appena cancellato dieci righe di melassa (e non per G.).

PS: Nessun G. è stato maltrattato per la scrittura di questo post. E neanche durante gli anni precedenti (chissà se concorda...).




* Amici, parenti e conoscenti: qualora vi riconosceste in una di tali situazioni... beh, si, è possibile che siate voi. Ché qui mica si parla di aria fritta. Lasciate che vi consoli qualora vi sentiate punti sul vivo dicendovi che: non siete stati gli unici; (quasi) niente di tutto questo è davvero importante, si fa per (far) ridere, spero; non è grave, visto che siamo ancora amici, parenti e... vabbé, conoscenti.

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