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Gattofila, razionalmente disordinata, ossessivo-compulsiva part-time.

lunedì 5 settembre 2016

"Come si dichiara?" Consapevole, Vostro Onore.

Quest'estate ho compiuto ventisette anni. Ventisette.
Mi piace il numero ventisette, ci sono un sacco di 3 (uno dei miei numeri preferiti): è 3*3*3, ne mancano 3 per arrivare a 30, trentatrè trent.

Mi sento più adulta? Mmm naaaaaaa, non direi.
Sento di aver raggiunto comunque una ragguardevole età? Eh, di questo si può parlare. È indubbio che cominci a notare che il passare del tempo ha avuto certi effetti su mente e spirito: lungi da me dire che sono diventata vecchia (pur non nutrendo alcun timore verso il naturale avanzamento dell'età), ma mi rendo conto che alcune cose sono cambiate. Non mi stupirei affatto se cambiassero nuovamente da qui a due, tre o cinque anni, ma per il momento la situazione è questa ed è bene (per me, non so per altri) che io ne prenda serenamente atto.

Give me baby one more list!
Mi sembra coerente iniziare una lista sottolineando come abbia imparato che il mio cervello organizza le cose per liste. Ah, l'onnipotenza di sapere di star pianificando qualcosa mentre appare un nuovo pallino per un nuovo oggetto sulla lista! Ah, la soddisfazione di sbarrare qualcosa portato a termine!
Oltre alla classica ma mai fuori moda lista della spesa, ne compilo per innumerevoli scopi: obiettivi per la giornata lavorativa, obiettivi a lungo termine, cose da fare appena tornata a casa prima che possa rilassarmi (perché conoscendomi, una volta premuto il pulsante relax è finita la giornata), film che voglio vedere, idee per regali futuri. In qualche particolare caso per preparare la valigia, anche se ormai mi sposto talmente spesso che la maggior parte delle volte la preparo in automatico, al punto che sembra si faccia da sola: specialmente per i weekend in Inghilterra, ormai la valigia è standard. Persino i miei post sono spesso organizzati per punti: da un lato è più facile scrivere piccoli tasselli che non devono necessariamente essere collegati da perifrasi, trovando perfetta motivazione nell'esser gli uni accanto agli altri per il semplice fatto di far parte di una lista; dall'altro, li penso spesso direttamente così, e trasporre la struttura con cui vengono ideati mi sembra più autentico.

Sette e mezzo.
Non ho preso il vizio del gioco d'azzardo: semplicemente sono arrivata al punto di sapere che il mio corpo e la mia mente hanno bisogno di sette ore e mezzo (minimo) di sonno a notte. Addio anni di gioventù, in cui studio, vita sociale e impegni del quotidiano demandavano svariate ore notturne e le successive ore mattutine: con quali leggiadria e spensieratezza (dopo il caffé) affrontavo una giornata intera e impegnativa con poche ore di sonno alle spalle. Quando capita ultimamente tengo botta per un po', ma pur mantenendo (a fatica) le apparenze di una persona vigile e produttiva, dentro di me so con quale sforzo sto tenendo gli occhi aperti.
Ad onor del vero, ammetterò che il costante calo di attività fisica da me svolta può aver contribuito enormemente, sia per la mancanza di stamina sia per una minor qualità del sonno, che nel caso di poche ore disponibili è fondamentale.

Se bella vuoi apparire, un poco devi soffr ma anche no.
Si arriva ad un certo punto in cui la manutenzione di un fisico quantomeno non dolorante diventa prioritaria rispetto a tutta una serie di obiettivi estetici che perseguivo senza problemi da giovane ventenne. L'Esempio con la E maiuscola riguarda l'asciugatura dei capelli: da portatrice sana di chioma riccia, so bene che la teoria richiederebbe asciugatura "all'aria" o eventualmente un phon (col diffusore! Mi raccomando il diffusore!) a temperatura medio-bassa. Ora, una temperatura medio-bassa comporta necessariamente tempi di asciugatura etern più lunghi, col risultato che spesso, anche in inverno, la mia innata pigrizia mi portava a non asciugarli proprio bene bene bene. E, in ogni caso, durante il processo si sta con i capelli umidi per un bel po'.
"La cervicale!", sbraitava Madre mentre mi tastava i capelli sull'uscio di casa.
"La cervicale!", ad un certo punto ho cominciato ad urlarmi addosso da sola mentre il mio collo aveva la stessa capacità motoria di un container. Avete mai visto un container muoversi da solo? Ecco.
Va da sé che ora qualunque "regola" estetica (dall'asciugatura dei capelli al vestiario) viene applicata solo se passa rigorosamente il test: "Se lo faccio/lo (non) indosso, avrò gli acciacchi da vecchia?".
Mestizia.

Mi conosco, mascherina!
Arrivata alla veneranda età di ventisette anni, posso dire di avere un'ampia conoscenza di ciò che funziona e ciò che no.
Voglio essere sicura di alzarmi presto senza avere una ragione impellente a parte l'essere più produttiva? Devo lasciare la sveglia lontana dal letto per costringermi ad alzarmi, pena il rinvio della sveglia per un'ora o più.
Giornate calde e afose senza zuccheri a intervalli regolari? Se non voglio trovarmi stesa incosciente per terra, evito.
Non voglio cadere in tentazione con dolci, birre e patatine? Non devo averli in casa.
Voglio andare a letto ad un orario decente? Non devo sdraiarmi col computer perché "tanto solo cinque minuti". Ammetto la sconfitta su questo punto, ci casco ancora come una pera cotta maledicendomi in aramaico antico la mattina dopo (vedi il punto "Sette e mezzo").
E così via.

Aldilà di quelle che sono le inezie della vita quotidiana, immagino che la visione più generale sia che arrivata ai 27 io abbia acquisito consapevolezza. Che non è saggezza, beninteso. È più semplicemente l'accumulo di esperienza e l'aver trascorso tutta la vita con... beh, me: si arriva ad essere consapevoli dei propri pregi e dei propri difetti, delle proprie cose buone e di quelle meno, ma soprattutto (ed è qui secondo me la cosa importante) si impara ad accettarli.
Accettazione non vuol dire arrendevolezza: vuol dire conoscere la propria situazione attuale non negando l'evidenza, avendo ben chiaro cosa sarebbe bene cambiare e cosa no, cosa ci si può permettere e cosa no. Questo vale ovviamente non solo per il rapporto con se stessi, ma anche con il mondo esterno: in particolare ora sono consapevole del fatto che non si può piacere a tutti (oh, regà, amen!) e che bisogna saper dire di no, a volte. Non avendo proprio un carattere delicato e arrendevole, il primo punto mi era chiaro da un pezzo, anche se non l'avevo accettato completamente; sul secondo ci stiamo ancora lavorando (io e le mie molteplici proiezioni mentali), soprattutto se giustificare il no richiede una critica nei confronti del richiedente.
Questi mesi un po' solitari in Belgio sono stati una tappa importante per raggiungere questa consapevolezza: non solo perché il vivere (di nuovo?) da sola richiede ovviamente una gestione diversa di sé e del proprio tempo, ma anche perché il diverso ritmo della vita sociale lascia molto spazio alla riflessione e al tirare le somme.

"Vabbé, consapevolezza qua, consapevolezza là, mo che ce fai?"
Eh, intanto me la tengo. Poi forse coi trenta m'arriva l'illuminazione.

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